sabato 6 dicembre 2014

UNA PRESIDE SI RIFIUTA DI INCONTRARE IL SOTTOSEGRETARIO FARAONE


Al Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale 
per la Campania Dott.ssa Luisa Franzese
Al Ministro dell’Istruzione On. Prof.ssa Stefania Giannini
E p. c. A tutte le scuole secondarie di secondo grado della Provincia di Napoli

Sono stata invitata a partecipare a un incontro con il Sottosegretario del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, on. Davide Faraone, che sarà a Napoli mercoledì prossimo, 10 dicembre, presso l’ISIS “Sannino-Petriccione”.
Desidero esplicitare i motivi per i quali, pur ringraziando per l’invito, non parteciperò all’incontro. Da quindici giorni, nella scuola che dirigo, i professori ed io stessa siamo impegnati in un dialogo incessante, quotidiano – a tratti molto difficile – con gli studenti, sulle modalità e sui limiti con le quali ed entro i quali una protesta può accrescere la consapevolezza e rafforzare il senso civico di ciascuno, risultando proficua per la comunità nella quale viviamo – in primo luogo, quella scolastica.
Ci siamo a lungo confrontati, abbiamo discusso – anche vivacemente - sulla necessità di rispettare le regole che danno forma a qualunque attività, sia individuale, sia, a maggior ragione, collettiva.
Abbiamo stigmatizzato le derive qualunquiste e pre-natalizie, i riti di iniziazione privi di contenuti e di motivazioni ideali; soprattutto, abbiamo chiarito che le occupazioni sono illegali, perché violano almeno due articoli del codice penale, senza se e senza ma.
Abbiamo commentato, costernati e impotenti, i danni - per centinaia di migliaia di euro – provocati, non per la prima volta, dalle occupazioni in alcune scuole della città di Napoli.
Abbiamo analizzato gli altri danni – primo tra tutti, la negazione del diritto allo studio e l’interruzione di un servizio pubblico – provocati dalle occupazioni, delle quali pagano sempre il prezzo più alto gli studenti diversamente abili e quelli didatticamente più deboli, meno motivati.
La scuola che dirigo non è stata occupata; l’attività didattica è continuata, anche se è stata declinata, per una settimana, secondo modalità alternative, per rispondere al bisogno degli studenti di interrogarsi su categorie storiche, su fenomeni politici, su fatti dell’attualità e della cronaca.
Non ho, pertanto, né il tempo, né alcun motivo di incontrare l’on. Faraone, che in un sorprendente articolo pubblicato sulla “Stampa” del primo dicembre definisce le occupazioni scolastiche “una lotta all’apatia”, le considera “più formative delle ore passate in classe”, le considera momenti privilegiati durante i quali “si seleziona la classe dirigente”, nonché l’unica occasione in cui le aule scolastiche “appaiono calde e umane”, pronube di meravigliosi amori “consumati in quei sacchi a pelo”, all’interno dei quali tanti “ragazzi e ragazze hanno trovato l’anima gemella”.
Sono tra i firmatari della petizione, promossa dal “gruppo di Firenze”, per le dimissioni dell’on. Faraone, che non rappresenta le istituzioni in cui credo. Credo, invece, con Massimo Recalcati, che un’ora di lezione possa cambiare la vita, e che la scuola alla vita possa e debba dare forma.
Con i migliori e più cordiali saluti,
prof.ssa Silvia Parigi
Dirigente Scolastico del Liceo “Comenio” di Napoli 

giovedì 13 novembre 2014

BERLINGUER, LO STATUTO DEGLI STUDENTI E LA DISFIDA DI BARLETTA

Berlinguer junior, emanando lo Statuto delle studentesse e degli studenti, pensò di traghettare finalmente la gestione della disciplina scolastica dal pieno arbitrio dei docenti a un sistema di garanzia che tutelasse i ragazzi. Emanò così la più diseducativa delle normative, in quanto sottopose qualsiasi misura disciplinare a una procedura burocratica, che ricorda il barocco sistema penale italiano, con tanti saluti alla logica di un rapporto educativo. Lo Statuto prevede una serie di norme che, se rispettate alla lettera, rendono complicato prendere un provvedimento disciplinare, qualora lo studente sia supportato da genitori che lo difendono “a prescindere” (e genitori del genere oramai abbondano per svariati motivi, compresi i sensi di colpa nei confronti di figli maleducati anche per la loro assenza nell'educarli). Basti pensare che ogni sanzione può essere impugnata davanti a un comitato di garanzia, diverso a seconda degli ordini di scuola, che ha dieci giorni di tempo per confermare, mutare o annullare la sanzione. Se il comitato dovesse tardare nella decisione di un solo giorno, ecco decadere il provvedimento disciplinare. Qualora i tempi siano invece rispettati e la sanzione sia confermata, la famiglia potrà ricorrere al comitato di garanzia regionale e via di seguito, quando il seguito è il tribunale amministrativo regionale. Naturalmente ogni ricorso richiede da parte del dirigente scolastico l'obbligo di stendere una relazione e altra mole di documentazione che dovrà innanzitutto essere formalmente inattaccabile, pena la cancellazione del provvedimento stesso. Chi non conosce la scuola, e Berlinguer junior a mio parere, da quello che dice e da quello che scrive, ancora oggi dimostra di conoscerla poco, non può assolutamente rendersi conto del lavoro insostenibile e delle inaudite responsabilità che pesano sulle spalle del preside e non possono in gran parte essere demandate ad altri. Pertanto rimane spesso arduo organizzare tutte le fasi burocratiche della misura disciplinare senza evitare di commettere un errore formale. Così si dovrà prestare attenzione affinché il consiglio di classe straordinario, che dovrà prendere gli eventuali primi provvedimenti, non venga convocato prima che siano trascorsi 5 giorni dal momento in cui il ragazzo/a ha avuto un comportamento da sanzionare; e guai se gli altri interessati (lo studente da sanzionare, i genitori dello studente, eventuali testimoni...) non vengono auditi secondo uno schema preciso e formalmente inattaccabile davanti al consiglio di classe allargato ai rappresentanti di genitori e studenti. Ci sono mille possibilità, per chi guida il consiglio straordinario, di poter commettere un purché minimo errore: per esempio farsi sfuggire informazioni o dichiarazioni che possono violare principi di privacy e turbare eventualmente il colpevole, quasi sempre pronto, grazie a babbo e mamma, a sentirsi vittima. Non dimentichiamoci, inoltre, che allo studente deve sempre essere data la possibilità di convertire le sanzioni in attività da svolgere a favore della comunità scolastica, con la conseguenza di dover inventar qualche lavoro socialmente utile, in cui a volte vengono inclusi  anche approfondimenti e ricerche su vari argomenti che il punito dovrà poi socializzare ai propri compagni di classe. Infine, per sospensioni superiori ai 15 giorni si deve coinvolgere anche il Consiglio d'Istituto (in cui siedono studenti e genitori…). Senza contare la comica, eppure diffusa prassi della “sospensione con obbligo di frequenza”, ovviamente priva di qualsiasi senso educativo.
Povera scuola e poveri noi, oltre che poveri ragazzi! Che sciatteria educativa aver pensato una mostruosità del genere, aver cioè delegittimato la figura dell'educatore a tal punto da costringerlo a difendersi dagli attacchi dei genitori nel momento in cui, insieme ai suoi colleghi, deve sanzionare un proprio allievo per motivi oramai sempre più gravi (e sempre più derubricati a inezie nel codice etico-educativo dei genitori). La sanzione educativa, invece, deve poter essere la risposta immediata dell'educatore ai propri allievi che disattendono le regole. E ben lo sanno quei genitori che, di fronte ad un pessimo comportamento dei loro figli a casa o fuori, si guardano bene dal rimandare di cinque giorni il chiarimento o la punizione che essi si meritano.
Un cenno, infine, alla scuola paritaria di Barletta gestita da suore salesiane, in cui una studentessa, arrivata a scuola con i capelli tinti di blu, messa di fronte alla necessità di rinunciarvi in base al regolamento, ha preferito lasciare l’istituto, che i genitori hanno denunciato ai carabinieri per “norme discriminatorie” (richiesta di abbigliamento consono all’ambiente scolastico). E poco importa se nelle norme fosse specificato o meno ciò che va bene e cosa no. Guai a togliere ai docenti e agli altri educatori scolastici quel tanto di discrezionalità che accompagna qualsiasi azione educativa, altrimenti il rischio è quello di ritrovarsi di fronte a docenti e presidi demotivati e che pur di non avere grane sono pronti a tollerare qualsiasi pessimo comportamento da parte dei propri allievi. Pertanto ben venga una dura reprimenda o un severo provvedimento disciplinare se uno studente alla fine non trova alcuna differenza tra  un abbigliamento e una acconciatura più adatti ad una rave party e quello che va bene in una scuola, per di più gestita da religiose.
Spiace infine, a questo proposito, aver sentito alla radio un vecchio preside criticare come “passatista” l'Istituto di Barletta e dire che la scuola deve curarsi dell’anima dei ragazzi piuttosto che del loro abbigliamento, come se quest’ultimo non fosse specchio anche del rispetto che ognuno di noi deve agli altri, anche attraverso l'abito che fa il monaco, caro collega, eccome se lo fa. (VV)

lunedì 10 novembre 2014

CONTRIBUTI DEL GRUPPO DI FIRENZE ALLA CONSULTAZIONE SULLA "BUONA SCUOLA"



CAPITOLO 7 – COMMENTI GENERALI AL PIANO

Cosa ritieni sia particolarmente efficace del Piano "La Buona Scuola"?
Indica massimo 3 temi

TEMA 1
AGGIORNAMENTO E LIBERTÀ METODOLOGICA
La parte dell’AGGIORNAMENTO è apprezzabile, soprattutto la critica all’aggiornamento calato dall’alto e per lo più teorico degli ultimi decenni. Fondamentale l’indicazione sullo scambio di idee e esperienze tra colleghi, MA deve essere rafforzata la scelta del metodo seminariale come base della formazione permanente, anche attraverso la formazione (del resto abbastanza semplice) alla conduzione di gruppi di lavoro. VA INOLTRE GARANTITA LA PIENA LIBERTÀ METODOLOGICA, e in questo senso è preoccupante il richiamo all'uniformità delle competenze dei docenti (“Dobbiamo dire con chiarezza cosa ci aspettiamo dal corpo docente in termini di conoscenze, competenze, APPROCCI DIDATTICI E PEDAGOGICI, per assicurare uniformità degli standard su tutto il territorio nazionale e garantire uno sviluppo uniforme della professione docente”(cap. 2.1, Quali competenze per i nostri docenti).
TEMA 2
SCUOLA E LAVORO
Anche qui, come per l’aggiornamento, ci sono le premesse per voltare pagina, abbandonando stereotipi e diffidenze anacronistiche. Da condividere quindi l’intenzione di rafforzare il rapporto fra scuola e lavoro. Bene l’IMPRESA DIDATTICA, l’APPRENDISTATO e I MESTIERI D’ARTE.
Per questi ultimi, il Gruppo di Firenze propone L’ALLARGAMENTO AGLI EX-ISTITUTI D’ARTE della possibilità di ISTITUIRE CORSI di Istruzione e formazione professionale  cosiddetti “complementari”, sfruttando i laboratori e le competenze ancora presenti e inutilizzate. (VEDI ANCHE il tema 3 nella sezione "Cosa manca").

Quali aspetti ritieni debbano essere migliorati o sostanzialmente ridiscussi? Indica massimo 3 temi

TEMA 1
ASSUNZIONE DI 150.000 PRECARI
Per evitare che entrino in ruolo eventuali persone non adatte all’insegnamento, RENDERE VERAMENTE SERIO L’ANNO DI PROVA, fornendo alle commissioni precisi criteri di osservazione in itinere e di valutazione e integrando queste ultime con membri esterni.
TEMA 2
CARRIERA STIPENDIALE E DEMERITO
NON È ACCETTABILE IL SISTEMA PROPOSTO NEL PROGETTO. SI DEVE INVECE MANTENERE una progressione stipendiale basata sugli anni di servizio come riconoscimento del VALORE DELL’ESPERIENZA, ma AFFIANCANDO ALL’ANZIANITÀ IL CORRETTIVO DEL DEMERITO (un criterio che sulla carta già esiste, ma non è operante): per ripetute mancanze ai propri doveri professionali si dovrebbe cioè prevedere, ovviamente senza quote prefissate, il mancato accesso allo scatto stipendiale. A questo proposito dovrebbe essere questa l’occasione per varare finalmente un codice etico-deontologico o codice di comportamento dei docenti che ne chiarisca puntualmente i doveri, anche come fondamentale occasione di dibattito e di riflessione sul proprio ruolo professionale. Da valutare anche una parallela incidenza del demerito sul punteggio nelle graduatorie.
ð Naturalmente PER IL DEMERITO GRAVE deve essere previsto l’allontanamento dall’insegnamento (VEDI il tema 2 nella sezione “Cosa manca”).

TEMA 3
COMPETENZE DEI DOCENTI
È PREOCCUPANTE questa affermazione (cap. 2.1): “Dobbiamo dire con chiarezza cosa ci aspettiamo dal corpo docente in termini di conoscenze, competenze, APPROCCI DIDATTICI E PEDAGOGICI, per assicurare uniformità degli standard su tutto il territorio nazionale”. Un’affermazione, quella sugli “approcci didattici e pedagogici”, che suona inquietante per chi ritiene ESSENZIALE LA LIBERTÀ METODOLOGICA, la sola garanzia che ogni insegnante dia il meglio di sé, in quanto può scegliere l’approccio migliore a seconda dell’argomento e della classe che ha davanti, che sia però anche in armonia con le sue attitudini e il suo temperamento. Senza dubbio è essenziale conoscere diversi metodi, altra cosa sarebbe l’imposizione di una didattica ministeriale.


Cosa manca nel rapporto del Piano "La Buona Scuola"? Indica massimo 3 temi
TEMA 1
SERIETÀ DELLA SCUOLA
È ASSENTE QUALSIASI RICHIAMO ALLA SERIETÀ E ALLA RESPONSABILITÀ. Come si può allora parlare della scuola come base per la democrazia?
 LA SCUOLA DEVE EDUCARE ALLE REGOLE i futuri cittadini innanzitutto facendole rispettare in ogni momento della vita scolastica. D’altra parte la disciplina è indispensabile per un apprendimento proficuo, come ha affermato a chiare lettere l’Ocse. Se c’è ancora imbarazzo e silenzio su questo punto, molto dipende da un ANACRONISTICO TIMORE DELL’AUTORITARISMO e da una scarsa consapevolezza dei bisogni educativi dei bambini, oltre che dello stretto legame tra l’educazione e una società democratica. Bisogna anche varare un CODICE ETICO-DEONTOLOGICO (o di comportamento) per gli insegnanti, cioè un insieme di principi e di regole di comportamento nei confronti degli studenti, dei colleghi, delle famiglie, della stessa professione, anche qui consultando i docenti.  Insomma, UNA BUONA SCUOLA è prima di tutto UNA SCUOLA SERIA.

TEMA 2
DOCENTI INADEGUATI
Premesso che la maggior parte dei docenti fa quanto meno dignitosamente il proprio dovere, LE NORME ATTUALI NON CONSENTONO, SE NON IN CASI RARISSIMI, DI ALLONTANARE TEMPESTIVAMENTE DALL’INSEGNAMENTO QUELLI PALESEMENTE INADEGUATI O PER INCAPACITÀ (ANCHE SOPRAVVENUTA) O PER GRAVE SCORRETTEZZA PROFESSIONALE (assenteismo ripetuto, intimidazioni, molestie sessuali, ecc.). È una situazione incompatibile con uno stato democratico, che va avanti da decenni e priva per anni e anni una parte degli studenti del loro diritto a una “buona scuola”, oltre a danneggiare la credibilità dell’istruzione pubblica. Occorre rimediare subito, anche nella consapevolezza che così facendo si alzerebbe il livello medio della categoria, molto più efficacemente delle politiche premiali.

TEMA 3
UNIFICARE ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE CON PROGRAMMI E ORARI RIFORMATI
Non si può credibilmente progettare alternanza scuola-lavoro, incremento dell’apprendistato, imprese didattiche, sviluppo dei laboratori e rapporti con le botteghe artigiane senza cambiare in profondità programmi e piani orari degli istituti professionali, la cui “licealizzazione”, causa prima dell’enorme dispersione, cominciò nei primi anni novanta ed è stata di recente aggravata dalla riforma Gelmini. BISOGNA FARE ANZI UN DECISIVO PASSO AVANTI, ANDARE CIOÈ VERSO L’UNIFICAZIONE DEGLI ISTITUTI PROFESSIONALI CON LA FORMAZIONE PROFESSIONALE, anche perché in molte regioni la seconda non si è mai sviluppata, mentre esistono istituti professionali dotati di laboratori, spesso molto sottoutilizzati.

mercoledì 22 ottobre 2014

UNA PAGINA FACEBOOK SUL TEMA “RIDATECI IL SILENZIO”

Per sviluppare l’iniziativa avviata con l’appello “RIDATECI IL SILENZIO. Contro la distruzione della quiete pubblica e la musica imposta”, firmato da oltre settecento cittadini tra i quali importanti esponenti della cultura contemporanea, abbiamo creato un’apposita pagina facebook. Potremo così raccogliere notizie, testimonianze, proposte, iniziative e approfondimenti sull’argomento da parte di tutti gli interessati a rafforzare un movimento di rinnovamento civile. Non solo quindi i cittadini che abitano in zone rumorose, ma tutti i quelli che ritengono fondamentale che venga garantito, come dice l'appello, "il diritto a riposare tranquillamente all’ora che si preferisce, a concentrarsi nella lettura, ad ascoltare musica di propria scelta, a godere la tranquillità e la bellezza di un parco o di una spiaggia". Chi non è iscritto a facebook potrà scriverci all’indirizzo gruppodifirenze@libero.it.
 Esistono già siti e pagine facebook “contro la movida selvaggia”, tra cui una pagina “sorella” espressione di un gruppo di Molfetta già molto attivo. Naturalmente segnaleremo indirizzi e riferimenti di tutti i gruppi e comitati delle varie città costretti a battersi per l’elementare diritto di dormire e vivere tranquillamente. Sappiamo inoltre che si sta lavorando per costituire una grande associazione nazionale dei comitati cittadini (o forse una del nord e un’altra del centro sud), che avrà ovviamente i propri strumenti di lavoro, ma potrà comunque contare anche su di noi.
 “Ridateci il silenzio” vuole quindi essere una pagina di servizio, che potrà anche servire per coordinare eventuali iniziative di carattere nazionale. Buon lavoro a tutti.
NB: È importante cliccare sul pulsante “Mi piace” per poter ricevere gli aggiornamenti della pagina sul proprio profilo di facebook e possibilmente condividerli con i propri amici.

martedì 21 ottobre 2014

IL MITO DELLA PRIVATIZZAZIONE DELLA SCUOLA NELLE PROTESTE DEGLI STUDENTI

L'articolo e l'intervista che segue sono state pubblicati ieri, in ordine inverso, su "Orizzonte scuola". ** 

Una delle parole d’ordine che più ricorrono nelle proteste studentesche è quella contro la “privatizzazione” della scuola pubblica. È un concetto mutuato dalla sinistra più legata al passato (a volte per il tramite di qualche docente che non ha ben chiaro il suo ruolo professionale), il cui significato resta in genere piuttosto vago. Lo spiega così un documento di studenti senesi, a commento della “Buona scuola” del governo Renzi: «La Buona Scuola … è in realtà la continuazione del modello di scuola immaginato dal ddl Aprea e in generale dai precedenti governi. Un modello con il quale i privati potranno influenzare la gestione delle scuole, sottomettendo a logiche di profitto gli indirizzi e gli obiettivi di ogni singolo istituto. Nonostante le lotte degli scorsi anni, quindi, Renzi porta avanti il processo di privatizzazione della scuola e di mercificazione dei saperi, promettendo incentivi e detassazioni a chi finanzia la scuola “pubblica”».  
Non c’è in realtà nulla nella “Buona scuola” (e a dire il vero non c’era neppure nel ddl Aprea) che giustifichi il timore di una svendita della scuola pubblica. Le redini degli istituti resteranno saldamente in mano alla parte pubblica. Il regolamento dell’autonomia fissa le condizioni e i limiti percentuali entro cui si può modificare, ma solo con l’approvazione del Collegio dei docenti, il piano orario, per esempio aumentando le ore di una materia e diminuendo quelle di un’altra. A parte questo, inviterei gli studenti che in questi ultimi giorni, in polemica con Renzi, sono saliti sui banchi in stile professor Keating dell’Attimo fuggente, che incoraggiava in questo modo una varietà di punti di vista, a prenderne in considerazione almeno tre, prima di esprimere giudizi inappellabili. Il primo: la scuola, le aziende e soprattutto i ragazzi stessi hanno un interesse del tutto convergente a far sì che gli istituti tecnici e professionali, a cui soprattutto si pensa per eventuali finanziamenti, siano in grado di fornire una preparazione di alto livello, anche attraverso l’uso di moderni laboratori. Certi testi studenteschi, invece, sembrano quasi auspicare un totale divorzio tra istruzione e economia. Del resto anche in alcune forze politiche è ancora viva e vegeta l’idea di una scuola più o meno licealizzata per tutti fino a diciotto anni, che in realtà garantirebbe soltanto una spettacolare impennata della già massiccia dispersione scolastica.
Secondo punto di vista: proprio chi si batte contro il predominio della logica del profitto dovrebbe apprezzare il fatto che il mondo imprenditoriale venga incoraggiato a destinarne una parte a iniziative di utilità sociale. Negli Stati Uniti molti grandi industriali, come Bill Gates, Mark Zuckerberg, Warren Buffet e Michael Bloomberg, seguendo una lunga tradizione destinano somme enormi a scopi filantropici in patria e nel mondo, con una particolare preferenza proprio per l’istruzione. 
Il terzo e ultimo punto di vista da cui i giovani dovrebbero osservare il rapporto tra scuola e aziende è che questa collaborazione potrebbe aumentare le loro possibilità di trovare un lavoro coerente con i loro studi. Con le cifre della disoccupazione giovanile a livelli stratosferici, l’obbiettivo delle lotte studentesche dovrebbe semmai essere quello di assicurarsi che le esperienze lavorative degli studenti chiamati a mettere alla prova sul campo le proprie capacità siano davvero serie e formative per durata e per qualità, in modo da costituire dei veri e propri trampolini verso il loro futuro professionale
(Giorgio Ragazzini)

INTERVISTA
Le proteste studentesche prendono di mira l’ingresso dei finanziamenti privati nelle scuole. Come mai tutto ciò le sembra anacronistico? In fondo una buona parte dell’opinione pubblica continua a essere convinta del fatto che l’istruzione debba restare sotto l’egida esclusiva dello Stato.
È anacronistico il riflesso di ostilità indiscriminata nei confronti del privato e in particolare dell’impresa, quasi fossimo ai tempi di Dickens o anche nei nostri anni ’50, in cui peraltro c’erano anche imprenditori illuminati come Olivetti, che oggi tutti lodano, ma allora veniva bollato come un pericoloso paternalista. Prevedere la possibilità di finanziamenti privati non implica affatto, però, mettere in discussione il ruolo guida dello Stato nell’istruzione, di cui noi del Gruppo di Firenze siamo convinti difensori. La scuola pubblica dovrebbe rispondere in primo luogo a un mandato sociale. Se c’è un uso plausibile del termine “privatizzazione” a proposito della scuola, è proprio quello che indica l’indebolimento della sua natura di istituzione che trasmette ai giovani il nostro patrimonio culturale, con il rischio di diventare un puro e semplice servizio ai “privati cittadini”, visti come quindi come clienti con le loro richieste e le loro pretese. Ne è un sintomo la sempre più diffusa conflittualità fra insegnanti e genitori, ma lo è anche l’ossessiva enfasi sulla “personalizzazione” dell’insegnamento.
Perché nel documento che qui riportiamo in calce parla di ‘mito’ della privatizzazione? Quali ideologie lo alimentano? Perché gli studenti ne sarebbero così affascinati?
Uso il termine “mito” nel senso più estensivo di idea che non corrisponde in nessun modo alla realtà. Lei però coglie giustamente anche l’elemento della fascinazione che emana il concetto, è come un idolo negativo di cui si ha bisogno per mobilitare le proprie energie, cosa del resto tipica dell’adolescenza e della giovinezza. La privatizzazione dei “beni comuni” sembra aver sostituito nel ruolo di nemico quello che per i loro (ormai) nonni era la società capitalistica. Solo che in genere la preparazione politica che viene fuori dai discorsi degli studenti non è per nulla adeguata rispetto alla complessità dei problemi di cui si occupano. Fra quelli che partecipano ai cortei non so quanti sanno bene perché lo fanno. Va anche detto che i giornalisti che li intervistano di rado li incalzano perché vadano oltre gli slogan. Anche questo rientra fra le forme di pseudo-benevolenza di cui sono oggetto e che non li fa crescere, come la tolleranza per le occupazioni.
“Certi testi studenteschi, invece, sembrano quasi auspicare un totale divorzio tra istruzione e economia. Del resto anche in alcune forze politiche è ancora viva e vegeta l’idea di una scuola più o meno licealizzata per tutti fino a diciotto anni, che in realtà garantirebbe soltanto una spettacolare impennata della già massiccia dispersione scolastica”. Quale potrebbe essere un modello di giusta integrazione tra istruzione ed economia per il nostro Paese?
È un’integrazione già prevista dall’originario titolo quinto della Costituzione, che assegnava alle regioni la competenza legislativa per l’ “istruzione artigiana e professionale”. Una competenza regionale confermata nella riforma costituzionale del 2001, che parla ora di “istruzione e formazione professionale”. Il motivo è ovvio: bisogna preparare gli studenti per mestieri e professioni legati all’economia di una regione, non si può replicare gli stessi indirizzi di studio in zone completamente differenti dal punto di vista produttivo; e questo vale anche per gli istituti tecnici. Purtroppo negli ultimi vent’anni  negli istituti professionali e in una certa misura anche nei tecnici si sono tagliate le ore di laboratorio e aumentate le materie teoriche in nome di un’errata idea di cultura paraliceale. Ma un mestiere si impara soprattutto (anche se non solo) con la pratica.
A quali condizioni, secondo lei, potrà davvero realizzarsi l’ambizioso piano di integrazione tra mondo della scuola e mondo del lavoro così da assestare un colpo alla dispersione scolastica e da contenere l’aumento della disoccupazione giovanile?
Prima condizione: fare gradualmente una sola cosa dell’istruzione e della formazione professionale. Quest’ultima in molte regioni è praticamente inesistente, mentre ci sono ovunque gli istituti professionali, spesso dotati di laboratori poco utilizzati per via della licealizzazione di cui parlavo prima. Ovviamente bisognerà cambiare i programmi in profondità, diminuendo le materie teoriche e aumentando fortemente l’attività pratica. È una mossa vincente anche contro gli abbandoni scolastici, come dimostra tra le altre l’esperienza del Trentino che è sceso sotto il 10%. Così come sono, i professionali deludono gran parte dei ragazzi che ci vanno pensando di mettere in gioco i loro talenti pratici, una scuola del fare, mentre trovano un sacco di materie teoriche.
Proprio in questa prospettiva ritengo sbagliata la battaglia contro eventuali contributi dei privati, che tra l’altro possono essere anche di singoli cittadini o associazioni, oltre che delle imprese. Non solo perché supplirebbero in parte alle ristrettezze dei bilanci pubblici, rendendo le scuole – soprattutto i tecnici e i professionali – più attrezzate e funzionali, ma anche perché comportano un dialogo tra scuola e economia che può giovare a entrambi e soprattutto al futuro lavorativo dei giovani. Inoltre questo incoraggiamento ad aiutare le scuole può promuovere il mecenatismo, una tradizione ancora debole nel nostro paese, mentre altrove, soprattutto negli Stati Uniti, è molto consolidata, perché chi è ricco sente spesso la responsabilità verso gli altri che gliene deriva. Infine, le garanzie contro la “svendita” della scuola ai privati denunciata dai movimenti studenteschi sono le norme sull’autonomia e i poteri decisionali dei Consigli d’Istituto; e mi sembrano piuttosto solide. (Intervista di Eleonora Fortunato) 

** Il titolo di "Orizzonte Scuola" forza un po' la tesi dell'articolo e dell'intervista definendo "fondamentale" l'apporto dei privati. Tra l'altro è prevedibile, e non solo per la congiuntura sfavorevole, che non sarà affatto facile trovare aziende disposte a finanziare in modo consistente le scuole. (GR)

martedì 7 ottobre 2014

E SE I NUOVI ASSUNTI NON FOSSERO ALL'ALTEZZA?

Lo scorso 8 settembre su questo blog abbiamo commentato il massiccio piano di assunzioni (148.000) annunciato dal governo, con l’intenzione di risolvere una volta per tutte il problema del precariato. Pur convenendo che un provvedimento eccezionale (da “curatore fallimentare”) si rende a questo punto necessario, sostenevamo che  qualcosa si può e si deve fare almeno per evitare che eventuali docenti inadeguati si aggiungano a quelli che già si trovano negli organici (per lo più indisturbati)”. La nostra proposta era: trasformare l’anno di prova, che oggi nella maggior parte dei casi è una pura e semplice formalità, in una verifica effettiva della presenza o meno di una sufficiente professionalità del nuovo assunto. Non si tratterebbe del resto di una valutazione improvvisata, se si volesse utilizzare a questo scopo un intero anno di lavoro del candidato. Aggiungevamo che, per avere maggiori garanzie di serietà, la commissione di valutazione andrebbe integrata da almeno una qualificata presenza esterna. 
A conferma della sensatezza delle nostre preoccupazioni, il numero 531 di “TuttoscuolaFOCUS” si chiede: “Ma è davvero opportuno svuotare le Graduatorie ad Esaurimento (GAE) in un colpo solo immettendo in ruolo tutti i suoi iscritti dal 1° settembre 2015? Potrebbero essere almeno 30 mila, il 20% degli iscritti GAE, che da un tempo non definito non stanno insegnando. Docenti che forse sanno ormai poco della scuola di oggi, arrugginiti nella lunga attesa, anche se non per colpa loro. E’ opportuno che entrino stabilmente nella scuola senza filtro o controllo?” Secondo la rivista, questi docenti (che potrebbero anche essere di più) “dovrebbero partecipare ad apposito obbligatorio corso formativo durante il prossimo anno scolastico, con verifiche delle situazioni iniziali e finali, superato il quale potrebbero essere confermati  in ruolo dal 2016-17”. Resta però da aggiungere che a una qualche forma di verifica andrebbero sottoposti anche tutti quei docenti che, pur avendo insegnato negli ultimi anni, non sono mai passati attraverso prove selettive. (GR)

giovedì 2 ottobre 2014

UNA BUONA SCUOLA? Capitolo 3: Iniqui e irrazionali gli aumenti “due su tre”. Una modesta proposta sostitutiva

In sintesi, il capitolo Trattamento economico e progressione di carriera della “Buona scuola” prevede che gli scatti automatici in base all’anzianità di servizio lascino il posto a “scatti di competenza” triennali, “legati all’impegno e alla qualità del proprio lavoro”. Riservati, però, solo a due terzi del corpo docente di ogni istituto. Si intuisce che c’è di mezzo un problema di programmazione della spesa, oltre a esperienze di premi distribuiti “a pioggia” nella pubblica amministrazione, invece di andare solo ai meritevoli. Tuttavia il meccanismo è davvero iniquo. E controproducente, se si pensa che ne risulteranno mortificati molti insegnanti che lavorano dignitosamente: non è infatti pensabile che un terzo del corpo docente sia fatto tutto di incapaci e di assenteisti. Gli estensori del progetto se ne rendono conto, ma il rimedio che suggeriscono è tanto avvilente quanto improbabile: “I docenti mediamente bravi [così sono garbatamente definiti gli esclusi dagli aumenti, NdA], per avere più possibilità di maturare lo scatto, potrebbero volersi spostare in scuole dove la qualità dell’insegnamento è mediamente meno buona”. Figuriamoci quanto appeal avrebbe la prospettiva di andarsi a cercare le scuole peggiori, per poter guadagnare, dopo tre anni, sessanta euro in più. La cosa, si dice, migliorerebbe anche il livello di tali istituti. Veramente, come si fa in altri paesi  e come suggerisce il buonsenso, per migliorare le scuole bisognerebbe mandarci non i docenti “mediamente bravi”, ma quelli migliori (e per questi è giusto prevedere una congrua indennità). Inoltre, perché la stessa scommessa non dovrebbero tentarla anche gli insegnanti scadenti? Si otterrebbe così un risultato addirittura opposto a quello voluto. 
Proviamo allora a immaginare un sistema alternativo. Per prima cosa non ci devono essere quote prefissate per la progressione stipendiale, per i motivi che abbiamo già spiegato. Inoltre è sbagliato eliminare l’anzianità come criterio retributivo; sarebbe, come sottolinea “Tuttoscuola”, l’unico caso in Europa. Il numero di anni di servizio non è una garanzia assoluta di miglioramento, ma non si può per questo negare il valore dell’esperienza, soprattutto se si lavora con impegno e in un ambiente scolastico che favorisce la crescita professionale. Si può però evitare il completo automatismo della progressione stipendiale affiancando all’anzianità il correttivo del demerito. Per il demerito grave (sul piano delle capacità o su quello della deontologia professionale) ci deve essere la possibilità di allontanare dall’insegnamento i docenti inadeguati, come abbiamo più volte ribadito. Nei casi meno gravi, invece, soprattutto per ripetute mancanze ai propri doveri professionali (nei confronti di alunni, colleghi, genitori), si può prevedere il mancato scatto stipendiale o una sua decurtazione. Sarebbe anche da valutare una parallela incidenza del demerito sul punteggio in graduatoria.
Con un sistema di questo tipo avremmo di fatto un riconoscimento del merito di chi lavora con serietà, cioè della grande maggioranza dei docenti, finora trattata allo stesso modo di una minoranza – probabilmente modesta – che non fa altrettanto. Tutto questo implica naturalmente una forma di valutazione periodica che, con le dovute garanzie, certifichi un livello sufficiente o meno di professionalità. A questo proposito, speriamo che si colga l’occasione per definire finalmente un codice di comportamento degli insegnanti; dai quali, anzi, ci auguriamo che vengano sollecitazioni e proposte in merito.
Inoltre, il superamento di un determinato numero di “soglie stipendiali” potrebbe costituire uno dei requisiti necessari, insieme ad altri che attestino le competenze richieste, per l’accesso selettivo a ruoli di coordinamento, di progettazione o di supporto, e anche a distacchi presso le facoltà universitarie per formare i futuri docenti.
In conclusione, riteniamo che un sistema di questo genere, oltre a essere molto più equo di quello prospettato nella “Buona Scuola”, sia anche in grado di favorire una maggiore consapevolezza delle responsabilità inerenti al proprio ruolo e a prevenire quindi la maggior parte dei comportamenti poco professionali.