giovedì 30 aprile 2015

QUANDO CI SI SCORDA DI ESSERE INSEGNANTI

Nei giorni scorsi, alla festa bolognese del Pd, la ministra Giannini e Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd, sono state contestate da una cinquantina di docenti, genitori e studenti, che, nonostante la ricerca di dialogo testimoniata dalla Puglisi, hanno alla fine costretto le due a rinunciare all’incontro. Un caso palmare di intolleranza e di violazione del fondamentale diritto di espressione? Macché, una parte del Pd, per non parlare di Sel, se l’è presa con la ministra per aver definito “squadristi” i contestatori. Ad esempio, Guerini e Orfini, con uno spericolato esercizio del più puro cerchiobottismo, hanno dichiarato: “È sbagliato che si impedisca di parlare a chi presenta la riforma, così come è sbagliato bollare di squadrismo chi manifesta il proprio dissenso”. Nel giro di un breve periodo, quindi, i contestatori prima “impediscono di parlare”, ma subito dopo non fanno che manifestare il proprio dissenso. Fratoianni, esponente di Sel, ha rubricato l’episodio come “dialettica democratica”. Un gruppo di docenti ha diffuso su facebook un documento da firmare denunciando la grave offesa ricevuta dalla Giannini. “Noi siamo i partigiani della Scuola e della Democrazia, non gli squadristi. La Democrazia è un bene prezioso, e va difeso con le unghie, con i denti, con le pentole e con le urla”. Sono solo alcuni esempi fra i tanti, ma bastano a illustrare due realtà. La prima è la diffusa mancanza di consistenza e di rigore dell’idea di democrazia. Dovrebbe essere evidente che il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”, garantito dall’articolo 21 della Costituzione, non tutela chi la pensa come noi (questo è accettato anche nelle peggiori dittature), ma chi ha idee opposte alle nostre, proprio quelle che ci fanno saltare la mosca al naso e torcere le budella. Molti presunti difensori della Costituzione, come gli estensori del documento citato, e moltissimi che predicano con sussiego “l’ascolto dell’altro e del diverso”, dimostrano nei fatti una soglia bassissima di tolleranza, soprattutto se l’altro ha convinzioni politiche diverse. La seconda realtà sottolineata da questo episodio e dalle reazioni suscitate è l’assenza di un’etica professionale condivisa e ben radicata fra gli insegnanti italiani. La correttezza dei comportamenti è affidata al buon senso e all’educazione dei singoli, ma non è mai stata sorretta da un’adeguata riflessione in proposito e tanto meno da principi codificati rispetto ai doveri verso gli studenti, i colleghi, i genitori e anche verso la dignità e il prestigio della professione. Anche per questo i contestatori di Bologna  non sono stati neppure sfiorati dalla preoccupazione di dare un esempio di comportamento antidemocratico ai loro studenti, contraddicendo quello che – almeno si spera – dicono in classe. Doppiamente sbagliato, dunque, il loro comportamento: come cittadini e come insegnanti.