lunedì 31 marzo 2014

TURISMO, LE RESPONSABILITÀ DI UN DECLINO

Sul “Corriere della Sera” di sabato scorso Gian Antonio Stella dedica un lungo e ben documentato articolo alla progressiva e, sembra, inesorabile “frana” del turismo straniero in Italia, che si verifica contemporaneamente a un vero e proprio boom mondiale del turismo. Andiamo giù, “nonostante il turismo sia l’industria del futuro”. Stella passa in rassegna le più importanti deficienze del nostro sistema turistico, in gran parte riconducibili a una mentalità provinciale che sembra appagata dall’idea di essere il paese più bello del  mondo. Ma che l’Italia sia sulla china per perdere gran parte della sua impagabile bellezza è sotto gli occhi di tutti: paesaggi disfatti, siti archeologici che si sbriciolano a ogni acquazzone, musei che alle 14 chiudono i portoni d’ingresso e che spesso sono collocati (e prigionieri) in tristi strutture ottocentesche. Abbiamo vie di comunicazione che escludono dai grandi circuiti turistici quasi la metà, forse la più bella, del paese, oltre naturalmente ad una generale mancanza di vera e propria cultura dell’ospitalità. Problema, questo, che si coglie da qualsiasi parte, ma soprattutto nelle città dai grandi flussi turistici. La scuola, e questo Stella non lo scrive, ci ha messo del suo per confermare i nostri vizi. Infatti, a partire dai primi anni ’90 si è pensato bene di scollegarla dal mondo del lavoro, pensando che questo contatto la contaminasse e la snaturasse. I risultati – non ci stanchiamo di ripeterlo perché i sacerdoti della pedagogia sono restii ad aprire gli occhi sulla realtà – sono palesemente disastrosi. Però la distanza troppo ampia tra scuola e mondo del lavoro è anche responsabilità di quest’ultimo, per essersi troppo a lungo accontentato delle sue posizioni di rendita (per esempio aprendosi troppo poco all’esempio di altri paesi). Vale la pena di aggiungere che il mondo del lavoro appare spesso assai  impreparato nel seguire in modo adeguato gli studenti in stage, ignaro che “perdere tempo“ oggi con i giovani per rafforzare in loro i saperi pratici rappresenta un ottimo investimento per il domani. Insomma, per migliorare il modo di accogliere i turisti è importante preparare ragazzi competenti, appassionati al proprio ruolo, rispettosi degli altri e futuri generosi ospiti. Ma se il nel mondo del lavoro non trovano analoghe disposizioni, allora è tempo perso e tutto lo sforzo fatto dalla comunità per formarli è reso vano. Se chi li ospita negli stage pensa a ottenere il maggior profitto col minimo sforzo, magari frodando anche il fisco (nel settore turistico purtroppo l'evasione è assai diffusa) non ci sarà scuola che tenga. Ben vengano dunque le critiche nei confronti del mondo scolastico, ma che le associazioni degli imprenditori evitino di scagliare la prima pietra, come spesso purtroppo amano fare. (VV)

martedì 25 marzo 2014

UN INTERVENTO SULLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DURANTE "LA GIORNATA DI ASCOLTO DELLA SCUOLA"

Intervento di Giorgio Ragazzini a nome della Fondazione “La Prova del Nove” dell’Istituto alberghiero “Saffi” di Firenze nella “Giornata di ascolto nel mondo della scuola” promossa dal Partito Democratico e tenutasi a Roma lo scorso lunedì 10 marzo.
Parlerò di formazione professionale partendo da un ristorante. Si chiama “La Prova del Nove”, si trova a Firenze ed è stato inaugurato lo scorso 23 dicembre. Lo ha creato – caso unico in Italia – l’istituto alberghiero statale “Aurelio Saffi” attraverso una fondazione ad hoc senza fini di lucro, con l’idea di farne una scuola di alta formazione professionale, ma anche un’occasione di qualificato tirocinio per i suoi studenti. Ci lavorano infatti, con la supervisione di alcuni insegnanti, sette ex allievi, scelti tra i migliori diplomati, con contratto a tempo indeterminato, a cui si aggiungono nove neodiplomati con una borsa di studio annuale, che in pratica fruiscono di un vero e proprio master sotto la guida dei colleghi più anziani; e infine, a turni di quindici giorni ciascuno, 120-130 attuali allievi dell’istituto per uno stage vero, serio, impegnativo, anche perché si tratta di ristorazione di altissima qualità, non di una trattoria alla buona. Tutti questi ragazzi fanno questa esperienza con grandissima soddisfazione.
Per azzardare questa scommessa e per affrontare il lungo iter burocratico che è stato necessario (sennò non saremmo in Italia) c’è voluta la determinazione di un preside fermamente convinto dell’importanza fondamentale della formazione professionale per combattere l’insuccesso scolastico, per sostenere lo sviluppo economico con persone davvero preparate e motivate, per rinnovare la scuola italiana, troppo legata allo studio teorico, dotandola di un canale formativo di pari dignità rispetto a quelli fino a oggi più diffusi.
L’idea che la cultura liceale si dovesse almeno in parte estendere anche agli altri indirizzi, fece sì che nei primi anni novanta si snaturassero totalmente, appunto licealizzandoli, i tecnici e i professionali, alterando in modo grave la loro identità.
Una scelta rovinosa, recentemente aggravata dalla riforma Gelmini, con la conseguenza di percentuali di abbandoni e di insuccessi nel primo biennio dei professionali che veleggiano intorno al 40%  e più. Mentre il Trentino è invece sceso al 9-10% grazie a una forte e qualificata offerta di formazione professionale. Mentre in  Germania uno dei pilastri del ritrovato sviluppo economico è stato un sistema scolastico (cosiddetto “duale”) molto basato sull’alternarsi dello studio e del lavoro come terreni di apprendimento che si fecondano a vicenda.
In Italia invece, molti ragazzi sperano, iscrivendosi agli istituti professionali, di riscattare un passato scolastico già segnato da insuccessi e frustrazioni. E si devono arrendere di fronte a una girandola di materie teoriche che metterebbe in seria crisi anche studenti ben motivati e ben preparati per un percorso di tipo liceale.
Vorrei quindi chiedere al Partito Democratico di abbandonare una volta per tutte le remore in questo campo, dando davvero ascolto non a me, ma alle esigenze e alle attese di tantissimi ragazzi. A quattordici anni si può benissimo iniziare un serio percorso formativo largamente basato fin dall’inizio su molte ore di laboratorio e sugli stage, oltre che su mirate attività di stampo culturale, senza dover prima passare da ripetuti fallimenti. Se non è troppo presto per scegliere un istituto tecnico o un liceo, perché dovrebbe esserlo per iniziare un percorso di formazione professionale? Certamente è necessaria una nuova rappresentazione mentale della formazione professionale, finalmente positiva, aperta a tutti, anche ai “bravi” delle medie.
Venendo infine al piano delle concrete scelte politiche, concludo con un’indicazione di prospettiva molto netta nella direzione che ho detto: bisogna unificare l’istruzione e la formazione professionale (una distinzione che non ha più molto senso), come propone anche l’Associazione Docenti Italiani, facendone un unico, robusto canale formativo, “de-licealizzato” e rivitalizzato dalla diffusione dell’alternanza scuola lavoro e dell’apprendistato. Sarebbe davvero, questo, un bel modo di “cambiare verso”.

lunedì 24 marzo 2014

LETTERA AL MINISTRO: PIÙ FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTRO L’INSUCCESSO SCOLASTICO

“Tuttoscuola” ha pubblicato ieri i dati sulla cosiddetta “dispersione” scolastica. Nonostante una leggera diminuzione, si tratta pur sempre di cifre altissime. C’è ancora chi pensa che il fenomeno si possa sconfiggere proclamando rivoluzioni metodologiche, nello stesso tempo in cui continua a difendere la licealizzazione di tutti i percorsi, che dell’insuccesso scolastico è invece una delle cause principali. 
Pubblichiamo a questo proposito una lettera aperta che, a nome del nostro gruppo, Valerio Vagnoli, preside di un  alberghiero fiorentino, ha scritto al ministro Giannini.
Gentile Ministro,  
sono anni che viene denunciata da più parti la drammatica situazione dell'abbandono dell'obbligo scolastico da parte di migliaia e migliaia di studenti. Le cifre pubblicate  oggi da Tuttoscuola, anche se delineano un leggero calo nelle percentuali, confermano tuttavia la drammaticità della situazione italiana. Naturalmente il Paese che ha avuto i primi grandi teorici della realtà effettuale, la cui analisi critica rende possibile migliorare la condizione del genere umano, si è guardato bene, almeno fino a oggi e salvo encomiabili esperienze in qualche regione (prima fra tutte il Trentino), dal misurarsi con la realtà della nostra formazione superiore. 
Molti di coloro che contano in fatto di politica scolastica (i sindacati, alcune corporazioni dei docenti, gli assessorati regionali e spesso, ahimè, i ministri della Pubblica Istruzione) sono legati a fole ideologiche presunte "progressiste", come quella secondo la quale la scuola migliore è quella che sa essere quanto più possibile uguale per tutti. Con gli inevitabili disastri in tema di abbandono e di insuccesso scolastico che sono da decenni sotto gli occhi di ciascuno di noi e che hanno la loro origine, appunto, nell'aver a tutti i costi voluto affermare tale principio.  
Crediamo invece che una riforma della formazione professionale sia urgentissima e dovrebbe essere posta fra i primi punti dell'azione del governo. Ci permettiamo di suggerire, in nome della realtà effettuale, di studiare le esperienze che stanno dando risultati positivi sia sul fronte della qualità formativa che su quello della diminuzione dell'evasione scolastica, tra cui appunto quella trentina, in modo da poter dotare tutto il territorio nazionale di qualificati percorsi di formazione professionale. È incoraggiante il fatto che il programma del nuovo governo dia molta importanza all'apprendistato e all'alternanza scuola-lavoro. Non vi mancheranno le critiche e gli attacchi, ma  ci auguriamo che non riescano a distogliervi dall'urgenza  di cambiare.
Cordialmente
Valerio Vagnoli 
(DS Istituto alberghiero “Saffi” di Firenze) 
a nome del 
GRUPPO DI FIRENZE  
per la scuola del merito 
e della responsabilità

Post Scriptum: Con l’occasione, Le esprimiamo il nostro compiacimento per l’intenzione da Lei espressa di affrontare il tabù dei docenti inadeguati. Il maggior riconoscimento del merito dei tantissimi docenti seri consiste proprio nel non continuare a trattarli come i pochi che seri non sono o che purtroppo non sono in grado di svolgere il loro lavoro (mentre il premio ai migliori, che continuerebbero comunque a fare bene, ha dimostrato altrove di avere più controindicazioni che conseguenze positive sulla qualità media della scuola).

lunedì 17 marzo 2014

I BAMBINI INTOCCABILI DELLA SCUOLA DI LIZZANELLO

Con la presente si chiede alle SSLL di evitare qualsiasi forma di "contatto fisico" con gli alunni e le alunne, come ribadito in varie occasioni a livello generale e/o individuale. In particolare si ribadisce che non è consentito, per nessun motivo, toccare i ragazzi e le ragazze, né abbracciandoli/e, né prendendoli/e per mano, né baciandoli/e sulla guancia. Questo al fine di tutelare la sicurezza di tutti. L'inosservanza di tale disposizione da parte delle SSLL comporterà l'applicazione di sanzioni disciplinari”. 
È stata questa circolare rivolta al personale di un istituto comprensivo della provincia di Lecce, il “De Giorgi” di Lizzanello, l’argomento della rubrica “Melog” di venerdì scorso su Radio 24. Interpellata in precedenza, la vicepreside ha voluto solo dire che la scuola si ispira al “modello anglosassone”.
Si possono immaginare i giudizi su queste disposizioni raccolti dal conduttore Gianluca Nicoletti: “circolare terrificante e orribile”, “folle”, “allucinante”, “educazione alla paranoia”. L’idea di eliminare dalla relazione educativa la stretta di mano, l’abbraccio, la pacca, il buffetto, soprattutto se l’istituto comprende la materna e la primaria, è senza dubbio aberrante. Probabilmente ha origine nell’ossessione di possibili accuse di abuso (Rignano Flaminio insegna), rafforzata da un ipercorrettismo politico di cui è spia, nel testo della circolare, il rifiuto del genere maschile ambigenere (“abbracciandoli/e”), consigliato dalle famigerate Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (la cui osservanza generalizzata basterebbe da sola a devastare la lingua italiana).
Il giorno dopo la dirigente ha corretto il tiro con un comunicato stampa (chissà perché firmato anche dall’assessore alla pubblica istruzione), in cui si chiarisce che non c’è mai stato alcun episodio di violenza o di abuso e che la circolare “è solo uno strumento per tutelare lo stile educativo e la formazione scolastica degli alunni” [sic]. E contraddicendo in parte la circolare, che invitava ad “evitare qualsiasi forma di ‘contatto fisico’ ”, sostiene che il personale “non sarebbe mai sanzionato per una carezza sul capo del bambino o una stretta di mano come saluto di incontro o di congedo o di congratulazione per un bel risultato”.
Nel frattempo la circolare è sparita dal sito e la “Gazzetta del Mezzogiorno” informa che è ora all’attenzione dell’Ufficio scolastico regionale, mentre il Ministero l’avrebbe definita “irrituale” e forse “frutto di un eccesso di zelo”. Tra l’altro, quale base giuridica avrebbe una sanzione disciplinare che punisse una carezza o una pacca sulla spalla?
Sperando che la disposizione venga ritirata, c’è comunque da augurarsi che almeno alcuni docenti di quella scuola fossero in cuor loro intenzionati a non sottostare a simili intimazioni, specialmente quelli che hanno a che fare con bambini piccoli. E viene in mente il bellissimo Monsieur Lazhar, il cui protagonista viene appunto ripreso dalla direttrice per aver tirato uno scappellotto a un allievo, ma all’occasione non lesina le carezze a un bambino disperato e alla fine abbraccia forte una sua piccola alunna che lo saluta in lacrime. (GR)

giovedì 13 marzo 2014

APPRENDIMENTO CONTRO INSEGNAMENTO: UNA CARICATURA PERICOLOSA

Nella “Giornata di ascolto nel mondo della scuola” promossa dal Partito Democratico, che si è tenuta lunedì scorso a Roma, Luigi Berlinguer ha rilanciato una parola d’ordine a lui cara, quella del passaggio dalla “scuola dell’insegnamento” alla “scuola dell’apprendimento”. “Bisogna chiudere definitivamente – ha gridato – l’era dell’insegnamento trasmissivo”. E al suo appello si sono rifatti, condividendolo, altri interventi.
Tutto questo è insieme caricaturale e pericoloso. Sono una caricatura sia la contrapposizione tra apprendimento e insegnamento, come se l’uno potesse esistere senza l’altro, sia l’idea di una “trasmissione” del sapere vista un po’ come l’ingozzamento delle oche destinate a fornire il foie gras. Il pericolo sta nella tendenza, purtroppo comune a molti pedagogisti, a imporre una didattica di Stato.
Praticamente tutto il novecento è attraversato, con varie declinazioni, da proposte metodologiche che potremmo riunire sotto l’etichetta complessiva della “didattica attiva” (oggi diventata “laboratoriale”), in genere pensate per la scuola primaria e per il primo livello della secondaria. Niente di nuovo e niente di male, quindi, nel tornare a sottolinearne il valore (se è questo che s’intende); e nulla da dire, anzi, sulla necessità che la professionalità dei docenti si evolva ed arricchisca attraverso il duplice confronto con l’esperienza propria e con quella degli altri. Niente di male, però a una condizione: che tutto questo avvenga in un clima di libertà metodologica, in cui ciascun insegnante adotta le strategie e i percorsi di apprendimento che si rivelano più produttivi – e, aggiungo, che più si confanno alle sue personali attitudini; meglio ancora se è in grado di mettere in atto una pluralità di approcci a seconda delle circostanze e dell’argomento trattato (come del resto fanno moltissimi colleghi). Altra cosa è indire una crociata contro il fantoccio ideologico dell’ “insegnamento trasmissivo”, con la palese intenzione di obbligare tutti gli insegnanti ad adeguarsi al nuovo dogma, diventando “facilitatori” dell’autoapprendimento. A proposito del quale incontriamo  l’altro dogma che si sta cercando di imporre alla scuola italiana: l’ineluttabile avvento del tablet  come via regia al rinnovamento (ovviamente “epocale”) della didattica. Nel convegno del Pd solo il rappresentante dell’Associazione Italiana Editori ha invitato alla prudenza in proposito, cioè a un uso circoscritto e davvero funzionale di questi strumenti. Come potrà un tablet sempre accesso in mano ai già (mediamente) poco attenti e concentrati bambini e adolescenti non diventare un’arma di “distrazione di massa”? (Giorgio Ragazzini)