Parlerò di formazione professionale partendo da un ristorante. Si
chiama “La Prova del Nove”, si trova a Firenze ed è stato inaugurato lo scorso 23
dicembre. Lo ha creato – caso unico in Italia – l’istituto alberghiero statale
“Aurelio Saffi” attraverso una fondazione ad hoc senza fini di lucro, con
l’idea di farne una scuola di alta formazione professionale, ma anche
un’occasione di qualificato tirocinio per i suoi studenti. Ci lavorano infatti,
con la supervisione di alcuni insegnanti, sette ex allievi, scelti tra i
migliori diplomati, con contratto a tempo indeterminato, a cui si aggiungono nove
neodiplomati con una borsa di studio annuale, che in pratica fruiscono di un
vero e proprio master sotto la guida dei colleghi più anziani; e infine, a
turni di quindici giorni ciascuno, 120-130 attuali allievi dell’istituto per
uno stage vero, serio, impegnativo, anche perché si tratta di ristorazione di
altissima qualità, non di una trattoria alla buona. Tutti questi ragazzi fanno
questa esperienza con grandissima soddisfazione.
Per
azzardare questa scommessa e per affrontare il lungo iter burocratico che è
stato necessario (sennò non saremmo in Italia) c’è voluta la determinazione di
un preside fermamente convinto dell’importanza fondamentale della formazione
professionale per combattere l’insuccesso scolastico, per sostenere lo sviluppo
economico con persone davvero preparate e motivate, per rinnovare la scuola
italiana, troppo legata allo studio teorico, dotandola di un canale formativo
di pari dignità rispetto a quelli fino a oggi più diffusi.
L’idea che
la cultura liceale si dovesse almeno in parte estendere anche agli altri
indirizzi, fece sì che nei primi anni novanta si snaturassero totalmente,
appunto licealizzandoli, i tecnici e i professionali, alterando in modo grave
la loro identità.
Una scelta
rovinosa, recentemente aggravata dalla riforma Gelmini, con la conseguenza di
percentuali di abbandoni e di insuccessi nel primo biennio dei professionali
che veleggiano intorno al 40% e più.
Mentre il Trentino è invece sceso al 9-10% grazie a una forte e qualificata offerta
di formazione professionale. Mentre in
Germania uno dei pilastri del ritrovato sviluppo economico è stato un
sistema scolastico (cosiddetto “duale”) molto basato sull’alternarsi dello
studio e del lavoro come terreni di apprendimento che si fecondano a vicenda.
In Italia
invece, molti ragazzi sperano, iscrivendosi agli istituti professionali, di
riscattare un passato scolastico già segnato da insuccessi e frustrazioni. E si
devono arrendere di fronte a una girandola di materie teoriche che metterebbe
in seria crisi anche studenti ben motivati e ben preparati per un percorso di
tipo liceale.
Vorrei
quindi chiedere al Partito Democratico di abbandonare una volta per tutte le
remore in questo campo, dando davvero ascolto non a me, ma alle esigenze e alle
attese di tantissimi ragazzi. A quattordici anni si può benissimo iniziare un
serio percorso formativo largamente basato fin dall’inizio su molte ore di
laboratorio e sugli stage, oltre che su mirate attività di stampo culturale,
senza dover prima passare da ripetuti fallimenti. Se non è troppo presto per
scegliere un istituto tecnico o un liceo, perché dovrebbe esserlo per iniziare
un percorso di formazione professionale? Certamente è necessaria una nuova
rappresentazione mentale della formazione professionale, finalmente positiva,
aperta a tutti, anche ai “bravi” delle medie.
Venendo
infine al piano delle concrete scelte politiche, concludo con un’indicazione di
prospettiva molto netta nella direzione che ho detto: bisogna unificare
l’istruzione e la formazione professionale (una distinzione che non ha più
molto senso), come propone anche l’Associazione Docenti Italiani, facendone un
unico, robusto canale formativo, “de-licealizzato” e rivitalizzato dalla
diffusione dell’alternanza scuola lavoro e dell’apprendistato. Sarebbe davvero,
questo, un bel modo di “cambiare verso”.