martedì 12 aprile 2011

DELLA LOGGIA E LE GENERAZIONI PERDUTE

Sul “Corriere della Sera” Ernesto Galli della Loggia è tornato ieri sul problema del merito a proposito della fuga dei cervelli dal nostro Paese. Come molti sanno, Della Loggia è stato uno dei firmatari del nostro appello a favore del merito e della responsabilità, un tema che gli è caro e che torna più volte nei suoi articoli. Su quello che scrive oggi, ritengo opportuno esprimere un paio di riflessioni. Innanzitutto ricordare che da tempo immemorabile le “eccellenze” abbandonano il nostro Paese perché molte di quelle cause che per Galli della Loggia sono oggi alla base di tale fughe, sono purtroppo ben radicate nella nostra storia e nella nostra antropologia culturale: familismo amorale e “rispetto” per le posizioni consolidate, in attesa del proprio turno.
A rendere ancora più drammatica la situazione rispetto al passato, si può dire che oggi hanno iniziato a fuggire, oltre ai geni e alle eccellenze, anche i bravi. Segno evidente che, malgrado il precipitare della crisi (nel senso più ampio del termine) il nostro sistema d’istruzione, e fa bene Della Loggia a evidenziarlo, “...pur con i centomila difetti che sappiamo”, è “ancora capace di produrre una formazione di eccellenza”.
Rimane il dominio della gerontocrazia, sia nei consigli di amministrazione che nel mondo politico. Poiché i giovani e i ragazzi in generale acquisiscono la loro formazione anche dagli esempi, sarebbe opportuno che qualcuno di quelli che contano, cominciasse a darglieli. Sarebbe veramente un bel segnale vedere i politici tornare al loro lavoro di provenienza, se mai vi è stato, dopo un’esperienza politica non più infinita, come spesso accade, ma giustamente limitata nel tempo. Oppure, sarebbe altrettanto auspicabile che i politici
non più eletti, anziché andare ad occupare poltrone in municipalizzate e
dintorni, si rimettessero in gioco seguendo le regole di coloro, la stragrande maggioranza dei cittadini, che non possono contare su alcun tipo di privilegi. Allo stesso modo sarebbe un bel segnale l’abolizione degli albi professionali o la riforma dei centri per l’occupazione che possa renderli più trasparenti, davvero “pubblici” ed in grado di gestire i curricula di chi cerca occupazione. Ed infine, senza timore di essere tacciato di facile moralismo, credo sia necessario che i nostri discorsi tornino ad occuparsi dell’onesto e retto “ conversar cittadino” se non vogliamo rischiare il precipizio morale.
Solo chi lavora con i giovani riesce a percepire la drammaticità del loro silenzio che può tuttavia diventare in ogni momento esplosivo. Questo, solo questo, mi sentirei di aggiungere all’interessante analisi di Galli della Loggia.

Valerio Vagnoli

giovedì 7 aprile 2011

FORMAZIONE PROFESSIONALE: RIUSCIRÀ LA TOSCANA A LIBERARSI DAL DIRIGISMO?

(da "ilsussidiario.net" di oggi)

Non piccolo errore fanno que’ padri di famiglia
che non lasciano fare nella fanciullezza il corso della natura
agl’ingegni dei figlioli e che non lasciano esercitarli
in quelle facultà che più sono secondo il gusto loro.
Perocché il voler volgerli a quello che non va loro per l’animo
è un cercar manifestamente che non siano mai eccellenti in cosa nessuna;
essendo che si vede quasi sempre
che coloro che non operano secondo la voglia loro
non fanno molto profitto in qualsivoglia esercizio.
(Giorgio Vasari)

Stando all’intervento di Patrizio Bianchi, assessore alla scuola dell’Emilia Romagna, sembra che quel governo regionale stia facendo passi avanti “non puramente marginali” per superare, come ha scritto Marco Lepore, “l’ideologia che vuole costringere i ragazzi a sedere dietro un banco di scuola superiore a dispetto di qualsiasi attitudine o capacità”.
In questi giorni anche in Toscana si sta mettendo a punto, fra riunioni e consultazioni di dirigenti, la configurazione dei trienni di IeFP. Per valutare gli eventuali progressi, va premesso che è proprio in Toscana che si è espressa nel modo forse più radicale la linea politico-culturale avversa alla pari dignità della formazione professionale come modalità di assolvimento dell’obbligo. Per rendersene conto, basta leggere Le linee guida sull’attuazione dell’obbligo di istruzione in Toscana dell’agosto 2007, che con grande chiarezza si pronunciano sull’obbligo di istruzione:
“L’obbligo di istruzione in Toscana sarà obbligo scolastico. La Regione Toscana non si avvarrà della possibilità prevista dalla Finanziaria per l’anno 2007 di fare convenzioni con il Ministero della Pubblica Istruzione per percorsi alternativi alla scuola fino ai 16 anni.
La scelta di far assolvere nella scuola, ai ragazzi toscani, l’obbligo d’istruzione fino a 16 anni, è dettata dalla profonda convinzione che è all’interno della scuola che si devono acquisire le competenze di base.
L’obiettivo di fondo è portare quanti più ragazzi e ragazze possibile al diploma di maturità; per questo ci dobbiamo impegnare per creare, per tutti, le condizioni migliori per stare bene a scuola, con profitto”.

L’obbiettivo finale era la maturità per tutti. Per il momento ci si accontentava di un biennio delle superiori. La chiave di volta per far funzionare il “modello toscano” veniva individuata nell’innovazione metodologica e soprattutto nella “didattica laboratoriale”, a cui molti sembrano affidare un compito quasi taumaturgico. Per gli allievi in grave difficoltà e per chi abbandonava, si prevedevano “interventi di presa in carico, orientamento e tutoraggio.”. Chi resisteva, poteva finalmente approdare esausto a un terzo anno professionalizzante, che ha poi avuto regolarmente inizio con molti mesi di ritardo, riuscendo peraltro a soddisfare solo una piccola parte delle domande.
Intanto l’elevatissimo numero di bocciature e di abbandoni nei professionali e nei tecnici, nonché il continuo aumento delle classi ingovernabili perché frequentate da ragazzi frustrati nelle loro attitudini, fanno sì che nella primavera dello scorso anno, in occasione delle elezioni regionali, ben 85 presidi toscani firmino una Lettera aperta ai partiti e ai candidati, promossa dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità, in cui chiedono al futuro governo toscano di cambiare decisamente rotta, affermando tra l’altro di non avere dubbi sul fatto che la formazione professionale “sia scuola a tutti gli effetti e costituisca, se adeguatamente supportata e finanziata, una risorsa strategica per lo sviluppo e una preziosa possibilità di autorealizzazione per molti giovani”.
L’iniziativa mette a nudo l’insuccesso del modello toscano, fino a quel momento ufficialmente indiscusso, modello che pochi mesi dopo deve subire anche la bocciatura della Corte Costituzionale (Sentenza 02.11.2010, n. 309). Diventa obbligatorio cambiare strada, complice anche l’accordo Stato-Regioni.
Dei lavori in corso per il varo dei percorsi triennali in Toscana, per il momento si sa che ci si baserà sul cosiddetto “regime surrogatorio A”, che affida alle scuole il compito di strutturarli utilizzando i margini di flessibilità e autonomia a loro disposizione. Fra il primo e il secondo anno sembra che si prevedano 900 ore di materie dell’area professionale e altre 900 in terza. La Regione interverrebbe a sostegno delle scuole per un impegno economico di circa tre milioni di euro annui: anche qui un passo avanti, ma senza dubbio ancora insufficiente. C’è comunque ancora molta strada da fare, anche in assenza di possibili tentazioni gattopardesche.
Ma per voltare davvero pagina e allinearsi con le esperienze che stanno drasticamente abbassando i tassi di dispersione e offrono a tanti ragazzi la possibilità di far fruttare i loro talenti, è indispensabile abbandonare i luoghi comuni che in Toscana hanno sorretto la damnatio della formazione professionale. Il più resistente è che quest’ultima non consenta di formarsi sufficienti basi culturali, mentre è vero che tutte le esperienze più avanzate comprendono un adeguato - e a volte anche notevole - numero di ore di cultura generale. Ed è altrettanto vero che avvicinarsi e appassionarsi a un mestiere, mediante una concreta esperienza su cui riflettere, discutere, acquisire delle conoscenze, è certamente formativo anche sul piano culturale.
Si dice poi che a quattordici anni è troppo presto per una scelta che condizionerà tutta la vita; ma non si tratta per niente di una scelta irreversibile. Ormai viene data ovunque la possibilità di rimediare a decisioni rivelatesi insoddisfacenti e di reinserirsi nei percorsi di istruzione. Dove la formazione professionale ha avuto un adeguato sviluppo ed è supportata dai necessari investimenti, inoltre, è prevista una progressione verso l’alto che può portare all’alta formazione professionale e anche all’università.
Va infine sottolineato il ruolo che in questa partita potrebbero giocare molte imprese, con l’assumersi responsabilità maggiori rispetto a quanto spesso fatto fino a oggi, investendo ad esempio nella formazione dei tutor destinati a seguire all’interno delle aziende i ragazzi impegnati nell’alternanza scuola-lavoro.

Giorgio Ragazzini