lunedì 5 maggio 2008

SCUOLA: IL TABÙ DELLA CONDOTTA di Valerio Vagnoli (30 gennaio 2007)

“I ragazzi ci vogliono più seri”
(Ugo Pastore, magistrato
della Procura dei minori di Ancona,
“La Repubblica” del 27/1/ 2007)

Qualcosa di più di un sospetto ci porta a credere che parlare, a proposito della scuola, del problema della condotta[1], sia visto da molti come cosa da passatisti o qualcosa di simile. Una delle principali responsabili di tutto ciò è gran parte della sinistra, che ha sempre evitato di misurarsi con questo aspetto della formazione ed è stata abbondantemente appagata dalla scelta di Berlinguer di non riconoscere alcun valore alla condotta.
Probabilmente reminiscenze antideamicisiane continuano a codificare quanto il fanciullo buono e bravo a scuola sia quella sorta di mezzo idiota spazzato via, almeno spera qualcuno, dal ribellismo rivoluzionario e casereccio sessantottino.
È probabile che siano ancora in molti a pensare che, nel bene e nel male, la condotta sia uno dei falsi problemi della scuola italiana, una sorta di rimasuglio stantio e rancido della scuola del tempo che fu e che occuparsene significhi collocarsi e sentirsi collocati tra vecchie maestre e signorine felicite, tra moralisti e liberticidi del libero sviluppo della crescita adolescenziale, che tanto deve aver turbato il formarsi del pensiero critico degli eterni ribelli, sempre a tiro per le battaglie contro le forze ciniche che maciullano i diritti dei ragazzi prigionieri del potere, delle regole, dei voti, dei docenti e, naturalmente, del sistema.
Nella mia esperienza d’insegnamento, durata una decina di anni, negli istituti di pena e rieducazione minorile di Firenze ho sempre colto, da parte dei ragazzi, l’esigenza di trovare soprattutto nella scuola punti di riferimento e regole che avessero per loro un significato ben identificabile e che rispondessero, come accadeva frequentemente, alle loro provocazioni tese quasi sempre a misurare nell’educatore la sua capacità di dimostrarsi un punto fermo in grado di rassicurare la loro vita disorientata. Una vita disorientata che, pur passata da esperienze devastanti, tale era rimasta: alla faccia del pensiero piccoloborghesealternativo che amava e ama tanto la formazione spontanea e, come affermano molti pedagogisti, “esperienziale”, che non distingue però i viaggi di “formazione” a Londra dal dramma di coloro che crescono al di fuori di qualsiasi modello formativo e che t’implorano, anche in maniera diretta, di regalarglielo un benedetto modello!
Oggi, nella realtà di moltissime scuole italiane si trovano decine di migliaia di studenti che presentano dinamiche, vuoti educativi e sociali pari a quelli dei loro coetanei che, negli anni settanta, espiavano, però a centinaia, nei riformatori e nei carceri minorili i loro svantaggi, le loro difficoltà e i loro disagi. A differenza di quei miei ragazzi di allora, quelli di oggi spesso non hanno una benché minima attesa dalla vita. Spalleggiati frequentemente da genitori iperprotettivi, qualunquisti e fascisti, di quel fascismo nuovo paventato lucidamente da Pasolini, vedono confermata la legittimità del loro inconsapevole nichilismo anche dalla stessa scuola, che ha paura a sanzionarli e, nello stesso tempo, a premiare coloro che si comportano in modo tale da essere valorizzati e distinti dagli altri.
Ma è possibile che si possano disprezzare a tal punto i ragazzi di questa nostra epoca, obbligandoli a seguire anni di attività scolastica dove le regole sono sempre più assenti?
Ma è possibile non capire che qualsiasi persona riterrebbe inutile, o disprezzerebbe, qualunque attività priva di regole? Eppure per capirlo non occorre aver leggiucchiato qualche paginetta di prontuario di psicologia: è sufficiente aver fatto una partita a carte tra amici, per rendersi conto che il gioco non esiste se privo di regole e che tutto salta maledettamente in aria anche se un solo giocatore non si immedesima nel gioco stesso, non rispetta le regole e si distrae continuamente!
Immaginate milioni di giovani costretti a frequentare una scuola che, per prima, non si prende sul serio, una scuola che rinunciando a qualsiasi regola si accontenta di vivacchiare, perché della sua efficienza non interessa a nessuno, né ai genitori né tanto meno ai politici, e capirete quante energie umane e quanti soldi vanno sprecati!
Purtroppo è questo tipo di scuola che va sempre più determinandosi nel nostro paese anche in virtù, è giusto riconoscerlo, di responsabilità oggettive della classe docente che, priva oramai di una propria identità, non ha avuto la forza e la motivazione per contrastare questa deriva populista, partita innanzitutto da chi ha ricoperto le più svariate responsabilità sul piano della politica scolastica e che ha fatto dell’ignavia un progetto di vita mascherandolo, ipocritamente, come educazione alla libertà e al rispetto degli individui.
È senz’altro vero che non si educa solo con le sanzioni, ma è altrettanto vero che queste debbano esservi: non penso ovviamente agli isterici schiaffi che don Milani-Savonarola sventolava ai suoi ragazzi qualora avessero osato trovare, in quello che facevano, anche la minima occasione per divertirsi; penso, invece, a quelle strategie educative che distinguano e valorizzino chi, con il suo comportamento, rispetta i diritti degli altri e lavora nella consapevolezza che il proprio impegno è la miglior garanzia per una società più giusta e meno sottomessa ai soprusi dei più forti, degli arroganti, dei violenti che, se trattati alla pari degli altri, si sentiranno autorizzati a codificare una visione del mondo sempre più brutale, egoistica e, appunto, fascista.


[1] Probabilmente molti ignorano che il voto di condotta valuta l’interesse, la partecipazione e il comportamento che lo studente dimostra nella sua esperienza scolastica e formativa.
(Pubblicato su "Notizie Radicali" il 12 febbraio 2007)