domenica 27 febbraio 2011

LETTERA APERTA DI UN PRESIDE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

di Valerio Vagnoli

Tuttavia non rinuncio a scriverLe. Così è fatto il genere umano, almeno certo genere umano: si legge un libro o si vede un film e ci si illude, pur sapendo quasi sempre vero il contrario, che ciò che si vede non sia frutto della fantasia, ma rappresenti la vita e la realtà. Allo stesso modo sono fatti i cittadini: non rinunciano a credere che in democrazia - e in democrazia ci troviamo senz’altro - qualche volta i governanti pensino con rispetto a loro che li hanno eletti (o che li hanno dovuti sopportare o subire) e che si preoccupino di loro. Ma trovarsi davanti ad un Presidente del Consiglio dei ministri che esprime disprezzo per un’istituzione come la scuola pubblica, che peraltro il suo governo ha contribuito a riformare e anche in parte a migliorare, è, mi creda, davvero troppo. Capisco che Ella conosca poco la pubblica istruzione: da quel che mi risulta Lei stesso ha studiato in una scuola privata e la medesima cosa hanno fatto i Suoi figlioli. Dubito che tra i Suoi interessi vi sia quello per i problemi che agitano il mondo giovanile e della formazione, e prendo atto che forse non si è mai occupato di leggere e interiorizzare quei grandi autori della destra liberale che tanto hanno contribuito a rendere più tollerante parte non indifferente del genere umano in quanto nemici acerrimi delle generalizzazioni che a Lei, in particolare in questi ultimi tempi, sembrano essere invece assai care.Se agli esponenti delle scuole parificate religiose avesse voluto fare un grande omaggio, da liberale come Ella si professa, avrebbe dovuto dire che la scuola pubblica è una grande opportunità anche per quella privata, perché rappresenta uno stimolo costante a far meglio e a migliorarsi, così come viceversa. Evidentemente Lei sapeva, e gli applausi dei Suoi interlocutori sembrano dargliene conferma, che la platea mirava ai finanziamenti e che della libera concorrenza, in fatto di formazione e istruzione, anche ieri tra quella gente non interessava a nessuno. Ovviamente Lei ha già smentito molte delle pessime cose dette ieri, a conferma di quello che un grande autore come Ennio Flaiano, in questi ultimi tempi finalmente ristampato, scrisse. E cioè che la situazione, purtroppo, è grave, ma non seria! So che non me ne vorrà, anche perché non mi leggerà senz’altro.

LA CRITICA DEL PRESIDE: «SOLTANTO DA NOI MESCOLANZA DI CULTURE»

(Dal “Corriere della Sera” di domenica 27 febbraio 2011)

ROMA — «Ricordo al Tasso, anni fa, l'ora di religione di padre Gualberto Giachi, un gesuita dalla mente finissima. La seguivano tutti: credenti, non credenti, comunisti, chi veniva da altre fedi come gli ebrei. Altro che valori diversi o uguali rispetto a quelli della famiglia: una mescolanza del genere è una ricchezza che i ragazzi possono trovare solo nella scuola pubblica». Una vita in cattedra, professore di storia e filosofia sia nelle private che nelle pubbliche, «cattolico praticante», Rosario Salamone è preside del Visconti, liceo statale nel centro di Roma. Dice di essere «molto amareggiato» per le parole di Silvio Berlusconi ed è forse solo la sua gentilezza di modi ad impedirgli di usare espressioni più forti. «Nessuno vuole negare l'utilità della scuola privata — premette — che nel nostro Paese svolge un ruolo importantissimo. Pensate solo agli asili ed agli asili nido, che senza il privato quasi non esisterebbero. Ma dipingere la scuola pubblica in questo modo non corrisponde al vero, ed è molto grave». La scuola, come la storia, è fatta di uomini e quindi bisognerebbe distinguere caso per caso. «Ma semmai sono le private a correre qualche rischio di più, perché per definizione più autoreferenziali e meno propense ad ascoltare altre voci. Nella mia carriera di insegnante nella scuola pubblica ho spiegato di tutto, dalle Confessioni di Sant'Agostino alle teorie di Marx e nessuno ha mai pensato di censurarmi». Il punto è capire cosa sia successo in questi anni, come sia cambiato il ruolo degli insegnanti rispetto alle famiglie. «Sicuramente alla scuola sono stati trasferiti compiti e responsabilità che prima non aveva. Le famiglie hanno meno tempo da dedicare ai figli, anche la Chiesa, per dire, si occupa meno della formazione cristiana dei ragazzi, che non può essere certo delegata all'ora di religione. Ma questo vale sia per le pubbliche sia per le private».
Anche il preside Salamone considera molto importante che le parole di Berlusconi siano le stesse pronunciate nel 1994, al momento del suo ingresso in politica. In questi anni di tagli all'istruzione, il governo ha detto che era necessario razionalizzare la spesa e ridurre gli sprechi. Una frase del genere, ripetuta a distanza di quasi 20 anni, le fa pensare che invece l'intenzione sia quella di ridurre lo spazio per la scuola pubblica a favore di quella privata? «Spero di no e credo di no. Una società ha il dovere di raccogliersi intorno alle proprie istituzioni. In questo le scuole sono come gli ospedali, come le caserme della polizia e dei carabinieri. Se vengono attaccate e svilite così da un'altra istituzione ci sono dei contraccolpi che poi è difficile recuperare. È la società stessa che rischia di andare in frantumi».

Lorenzo Salvia

venerdì 18 febbraio 2011

COPIARE È COLPA GRAVE (IN GERMANIA)

di Giovanni Belardelli

Certamente nel caso di plagio di cui è accusato il ministro zu Guttenberg — che, si sostiene, avrebbe copiato di sana pianta una parte della sua tesi di dottorato — a colpire è il fatto che esso riguardi uno dei politici tedeschi di maggiore successo presso l'opinione pubblica. Ma l'episodio, almeno osservato dall'Italia, colpisce forse ancora di più per l'enorme risalto che alla vicenda sta dedicando la stampa tedesca, la quale ritiene l'aver copiato (cioè, a chiamare le cose col loro nome, il furto delle idee e del lavoro intellettuale altrui) una colpa grave.
Un analogo rilievo sarebbe difficilmente immaginabile nel nostro Paese, dove episodi del genere non hanno mai innescato uno scandalo paragonabile a quello in cui si trova coinvolto il ministro della Difesa tedesco. Questo perché, come sappiamo tutti, in Italia è abbastanza diffusa l'idea che copiare sia in fondo una colpa lieve, che anzi per molti si configura come un comportamento lecito. Secondo la gerarchia dei valori e dei disvalori che abita nel profondo la nostra cultura, copiare rappresenta tutt'al più un peccato veniale, che dunque non occorre riceva l'unica vera sanzione che può indirizzare i comportamenti di una collettività, la disapprovazione sociale. Solo in Italia, credo, è potuto accadere che nel giugno scorso, alla vigilia delle prove di maturità, il Tg1 trasmettesse un ammiccante servizio su tutte le tecniche disponibili per copiare. Solo nel nostro Paese è potuto accadere che l'Invalsi, l'organismo che si occupa delle prove di valutazione nelle scuole, un paio d'anni fa si sia trovato costretto a denunciare il fatto che non pochi insegnanti lasciano tranquillamente copiare i loro alunni durante le prove. Appropriarsi del libro di qualcun altro, dunque il plagio in senso stretto del quale è accusato il ministro tedesco, è cosa evidentemente più grave del copiare a scuola per ottenere in modo scorretto un voto che non si merita. Ma anche quando nel nostro Paese un episodio di plagio viene reso noto, suscita in genere le reazioni timide e impacciate di chi anzitutto dovrebbe esprimere una censura, i colleghi dello stesso campo di studi. Stando così le cose, essendo questo il sentire comune o comunque largamente esteso, ho la sensazione che l'Italia di oggi sia uno dei massimi centri della copiatura per quel che attiene alle tesi di laurea: lavoro complesso e impegnativo se fatto seriamente e da soli; facile, anzi facilissimo, se ci si rivolge a centri e istituti appositi oppure, senza neanche sborsare un euro, a quell'immenso serbatoio di testi e tesi altrui che è rappresentato da Internet. Ma c'è forse un'ulteriore questione che ciò che sta avvenendo in Germania solleva, se visto dall'Italia. Almeno a prima vista, il fatto che nel nostro Paese i casi di plagio ricevano una scarsa attenzione sembra contraddire quella esigenza di moralizzazione, quel bisogno di comportamenti eticamente più adeguati che, con alterne vicende, anima l'opinione pubblica italiana da vent'anni in qua, dai tempi almeno di Tangentopoli. Perché, in sostanza, ci scandalizziamo di fronte ai casi di corruzione politica o a comportamenti come quelli, privati ma censurabilissimi, del presidente del Consiglio, e nessuno si scandalizzerebbe davvero — temo — per un ministro che ha copiato la sua tesi di dottorato? Credo che questo abbia a che fare con l'idea che l'esigenza di moralizzazione riscalda veramente i cuori, mobilita i sentimenti dell'opinione pubblica italiana o d'una sua ampia parte solo se diventa movimento collettivo, disegno politico o parapolitico di «pulizia etica» (per riprendere un'espressione usata da Ostellino su questo giornale). Come se, intendo dire, l'etica abbia bisogno di individuare un nemico e insieme una dimensione politica di massa. Rimaniamo invece un po' tutti poco sensibili a un'etica intesa anzitutto come responsabilità individuale delle proprie azioni private (qual è quella che appunto coinvolge il copiare o meno), in cui non ci sono vantaggi o obiettivi politici da perseguire, in cui il vero nemico è semmai la parte buia e oscura, la tentazione del male, che si nasconde in ognuno di noi.

(Dal "Corriere della Sera" di venerdì 18 febbraio 2011)