Nella
“Giornata di ascolto nel mondo della scuola” promossa dal Partito Democratico,
che si è tenuta lunedì scorso a Roma, Luigi Berlinguer ha rilanciato una parola
d’ordine a lui cara, quella del passaggio dalla “scuola dell’insegnamento” alla
“scuola dell’apprendimento”. “Bisogna chiudere definitivamente – ha gridato – l’era
dell’insegnamento trasmissivo”. E al suo appello si sono rifatti,
condividendolo, altri interventi.
Tutto
questo è insieme caricaturale e pericoloso. Sono una caricatura sia la contrapposizione
tra apprendimento e insegnamento, come se l’uno potesse esistere senza l’altro,
sia l’idea di una “trasmissione” del sapere vista un po’ come l’ingozzamento
delle oche destinate a fornire il foie
gras. Il pericolo sta nella tendenza, purtroppo comune a molti pedagogisti,
a imporre una didattica di Stato.
Praticamente tutto il novecento è attraversato, con varie declinazioni, da proposte metodologiche che potremmo riunire sotto l’etichetta complessiva della “didattica attiva” (oggi diventata “laboratoriale”), in genere pensate per la scuola primaria e per il primo livello della secondaria. Niente di nuovo e niente di male, quindi, nel tornare a sottolinearne il valore (se è questo che s’intende); e nulla da dire, anzi, sulla necessità che la professionalità dei docenti si evolva ed arricchisca attraverso il duplice confronto con l’esperienza propria e con quella degli altri. Niente di male, però a una condizione: che tutto questo avvenga in un clima di libertà metodologica, in cui ciascun insegnante adotta le strategie e i percorsi di apprendimento che si rivelano più produttivi – e, aggiungo, che più si confanno alle sue personali attitudini; meglio ancora se è in grado di mettere in atto una pluralità di approcci a seconda delle circostanze e dell’argomento trattato (come del resto fanno moltissimi colleghi). Altra cosa è indire una crociata contro il fantoccio ideologico dell’ “insegnamento trasmissivo”, con la palese intenzione di obbligare tutti gli insegnanti ad adeguarsi al nuovo dogma, diventando “facilitatori” dell’autoapprendimento. A proposito del quale incontriamo l’altro dogma che si sta cercando di imporre alla scuola italiana: l’ineluttabile avvento del tablet come via regia al rinnovamento (ovviamente “epocale”) della didattica. Nel convegno del Pd solo il rappresentante dell’Associazione Italiana Editori ha invitato alla prudenza in proposito, cioè a un uso circoscritto e davvero funzionale di questi strumenti. Come potrà un tablet sempre accesso in mano ai già (mediamente) poco attenti e concentrati bambini e adolescenti non diventare un’arma di “distrazione di massa”? (Giorgio Ragazzini)
Praticamente tutto il novecento è attraversato, con varie declinazioni, da proposte metodologiche che potremmo riunire sotto l’etichetta complessiva della “didattica attiva” (oggi diventata “laboratoriale”), in genere pensate per la scuola primaria e per il primo livello della secondaria. Niente di nuovo e niente di male, quindi, nel tornare a sottolinearne il valore (se è questo che s’intende); e nulla da dire, anzi, sulla necessità che la professionalità dei docenti si evolva ed arricchisca attraverso il duplice confronto con l’esperienza propria e con quella degli altri. Niente di male, però a una condizione: che tutto questo avvenga in un clima di libertà metodologica, in cui ciascun insegnante adotta le strategie e i percorsi di apprendimento che si rivelano più produttivi – e, aggiungo, che più si confanno alle sue personali attitudini; meglio ancora se è in grado di mettere in atto una pluralità di approcci a seconda delle circostanze e dell’argomento trattato (come del resto fanno moltissimi colleghi). Altra cosa è indire una crociata contro il fantoccio ideologico dell’ “insegnamento trasmissivo”, con la palese intenzione di obbligare tutti gli insegnanti ad adeguarsi al nuovo dogma, diventando “facilitatori” dell’autoapprendimento. A proposito del quale incontriamo l’altro dogma che si sta cercando di imporre alla scuola italiana: l’ineluttabile avvento del tablet come via regia al rinnovamento (ovviamente “epocale”) della didattica. Nel convegno del Pd solo il rappresentante dell’Associazione Italiana Editori ha invitato alla prudenza in proposito, cioè a un uso circoscritto e davvero funzionale di questi strumenti. Come potrà un tablet sempre accesso in mano ai già (mediamente) poco attenti e concentrati bambini e adolescenti non diventare un’arma di “distrazione di massa”? (Giorgio Ragazzini)