giovedì 13 novembre 2014

BERLINGUER, LO STATUTO DEGLI STUDENTI E LA DISFIDA DI BARLETTA

Berlinguer junior, emanando lo Statuto delle studentesse e degli studenti, pensò di traghettare finalmente la gestione della disciplina scolastica dal pieno arbitrio dei docenti a un sistema di garanzia che tutelasse i ragazzi. Emanò così la più diseducativa delle normative, in quanto sottopose qualsiasi misura disciplinare a una procedura burocratica, che ricorda il barocco sistema penale italiano, con tanti saluti alla logica di un rapporto educativo. Lo Statuto prevede una serie di norme che, se rispettate alla lettera, rendono complicato prendere un provvedimento disciplinare, qualora lo studente sia supportato da genitori che lo difendono “a prescindere” (e genitori del genere oramai abbondano per svariati motivi, compresi i sensi di colpa nei confronti di figli maleducati anche per la loro assenza nell'educarli). Basti pensare che ogni sanzione può essere impugnata davanti a un comitato di garanzia, diverso a seconda degli ordini di scuola, che ha dieci giorni di tempo per confermare, mutare o annullare la sanzione. Se il comitato dovesse tardare nella decisione di un solo giorno, ecco decadere il provvedimento disciplinare. Qualora i tempi siano invece rispettati e la sanzione sia confermata, la famiglia potrà ricorrere al comitato di garanzia regionale e via di seguito, quando il seguito è il tribunale amministrativo regionale. Naturalmente ogni ricorso richiede da parte del dirigente scolastico l'obbligo di stendere una relazione e altra mole di documentazione che dovrà innanzitutto essere formalmente inattaccabile, pena la cancellazione del provvedimento stesso. Chi non conosce la scuola, e Berlinguer junior a mio parere, da quello che dice e da quello che scrive, ancora oggi dimostra di conoscerla poco, non può assolutamente rendersi conto del lavoro insostenibile e delle inaudite responsabilità che pesano sulle spalle del preside e non possono in gran parte essere demandate ad altri. Pertanto rimane spesso arduo organizzare tutte le fasi burocratiche della misura disciplinare senza evitare di commettere un errore formale. Così si dovrà prestare attenzione affinché il consiglio di classe straordinario, che dovrà prendere gli eventuali primi provvedimenti, non venga convocato prima che siano trascorsi 5 giorni dal momento in cui il ragazzo/a ha avuto un comportamento da sanzionare; e guai se gli altri interessati (lo studente da sanzionare, i genitori dello studente, eventuali testimoni...) non vengono auditi secondo uno schema preciso e formalmente inattaccabile davanti al consiglio di classe allargato ai rappresentanti di genitori e studenti. Ci sono mille possibilità, per chi guida il consiglio straordinario, di poter commettere un purché minimo errore: per esempio farsi sfuggire informazioni o dichiarazioni che possono violare principi di privacy e turbare eventualmente il colpevole, quasi sempre pronto, grazie a babbo e mamma, a sentirsi vittima. Non dimentichiamoci, inoltre, che allo studente deve sempre essere data la possibilità di convertire le sanzioni in attività da svolgere a favore della comunità scolastica, con la conseguenza di dover inventar qualche lavoro socialmente utile, in cui a volte vengono inclusi  anche approfondimenti e ricerche su vari argomenti che il punito dovrà poi socializzare ai propri compagni di classe. Infine, per sospensioni superiori ai 15 giorni si deve coinvolgere anche il Consiglio d'Istituto (in cui siedono studenti e genitori…). Senza contare la comica, eppure diffusa prassi della “sospensione con obbligo di frequenza”, ovviamente priva di qualsiasi senso educativo.
Povera scuola e poveri noi, oltre che poveri ragazzi! Che sciatteria educativa aver pensato una mostruosità del genere, aver cioè delegittimato la figura dell'educatore a tal punto da costringerlo a difendersi dagli attacchi dei genitori nel momento in cui, insieme ai suoi colleghi, deve sanzionare un proprio allievo per motivi oramai sempre più gravi (e sempre più derubricati a inezie nel codice etico-educativo dei genitori). La sanzione educativa, invece, deve poter essere la risposta immediata dell'educatore ai propri allievi che disattendono le regole. E ben lo sanno quei genitori che, di fronte ad un pessimo comportamento dei loro figli a casa o fuori, si guardano bene dal rimandare di cinque giorni il chiarimento o la punizione che essi si meritano.
Un cenno, infine, alla scuola paritaria di Barletta gestita da suore salesiane, in cui una studentessa, arrivata a scuola con i capelli tinti di blu, messa di fronte alla necessità di rinunciarvi in base al regolamento, ha preferito lasciare l’istituto, che i genitori hanno denunciato ai carabinieri per “norme discriminatorie” (richiesta di abbigliamento consono all’ambiente scolastico). E poco importa se nelle norme fosse specificato o meno ciò che va bene e cosa no. Guai a togliere ai docenti e agli altri educatori scolastici quel tanto di discrezionalità che accompagna qualsiasi azione educativa, altrimenti il rischio è quello di ritrovarsi di fronte a docenti e presidi demotivati e che pur di non avere grane sono pronti a tollerare qualsiasi pessimo comportamento da parte dei propri allievi. Pertanto ben venga una dura reprimenda o un severo provvedimento disciplinare se uno studente alla fine non trova alcuna differenza tra  un abbigliamento e una acconciatura più adatti ad una rave party e quello che va bene in una scuola, per di più gestita da religiose.
Spiace infine, a questo proposito, aver sentito alla radio un vecchio preside criticare come “passatista” l'Istituto di Barletta e dire che la scuola deve curarsi dell’anima dei ragazzi piuttosto che del loro abbigliamento, come se quest’ultimo non fosse specchio anche del rispetto che ognuno di noi deve agli altri, anche attraverso l'abito che fa il monaco, caro collega, eccome se lo fa. (VV)