Berlinguer
junior, emanando lo Statuto delle studentesse e degli studenti, pensò di
traghettare finalmente la gestione della disciplina scolastica dal pieno
arbitrio dei docenti a un sistema di garanzia che tutelasse i ragazzi. Emanò
così la più diseducativa delle normative, in quanto sottopose qualsiasi misura
disciplinare a una procedura burocratica, che ricorda il barocco sistema penale
italiano, con tanti saluti alla logica di un rapporto educativo. Lo Statuto
prevede una serie di norme che, se rispettate alla lettera, rendono complicato
prendere un provvedimento disciplinare, qualora lo studente sia supportato
da genitori che lo difendono “a prescindere” (e genitori del genere oramai
abbondano per svariati motivi, compresi i sensi di colpa nei confronti di figli
maleducati anche per la loro assenza nell'educarli). Basti pensare che ogni
sanzione può essere impugnata davanti a un comitato di garanzia, diverso a
seconda degli ordini di scuola, che ha dieci giorni di tempo per confermare,
mutare o annullare la sanzione. Se il comitato dovesse tardare nella decisione
di un solo giorno, ecco decadere il provvedimento disciplinare. Qualora i tempi
siano invece rispettati e la sanzione sia confermata, la famiglia potrà
ricorrere al comitato di garanzia regionale e via di seguito, quando il seguito
è il tribunale amministrativo regionale. Naturalmente ogni ricorso richiede da
parte del dirigente scolastico l'obbligo di stendere una relazione e altra mole
di documentazione che dovrà innanzitutto essere formalmente inattaccabile, pena
la cancellazione del provvedimento stesso. Chi non conosce la scuola, e
Berlinguer junior a mio parere, da quello che dice e da quello che scrive,
ancora oggi dimostra di conoscerla poco, non può assolutamente rendersi conto
del lavoro insostenibile e delle inaudite responsabilità che pesano sulle
spalle del preside e non possono in gran parte essere demandate ad altri.
Pertanto rimane spesso arduo organizzare tutte le fasi burocratiche della
misura disciplinare senza evitare di commettere un errore formale. Così si
dovrà prestare attenzione affinché il consiglio di classe straordinario, che
dovrà prendere gli eventuali primi provvedimenti, non venga convocato prima che
siano trascorsi 5 giorni dal momento in cui il ragazzo/a ha avuto un comportamento da sanzionare; e guai se gli altri interessati (lo studente da sanzionare, i genitori dello
studente, eventuali testimoni...) non vengono auditi
secondo uno schema preciso e formalmente inattaccabile davanti al consiglio di
classe allargato ai rappresentanti di genitori e studenti. Ci sono mille
possibilità, per chi guida il consiglio straordinario, di poter commettere un
purché minimo errore: per esempio farsi sfuggire informazioni o dichiarazioni
che possono violare principi di privacy e turbare eventualmente il colpevole,
quasi sempre pronto, grazie a babbo e mamma, a sentirsi vittima. Non
dimentichiamoci, inoltre, che allo studente deve sempre essere data la
possibilità di convertire le sanzioni in attività da svolgere a favore della
comunità scolastica, con la conseguenza di dover inventar qualche lavoro
socialmente utile, in cui a volte vengono inclusi anche approfondimenti e ricerche su vari
argomenti che il punito dovrà poi socializzare ai propri compagni di classe.
Infine, per sospensioni superiori ai 15 giorni si deve coinvolgere anche il
Consiglio d'Istituto (in cui siedono studenti e genitori…). Senza contare la
comica, eppure diffusa prassi della “sospensione con obbligo di frequenza”,
ovviamente priva di qualsiasi senso educativo.
Povera scuola e
poveri noi, oltre che poveri ragazzi! Che sciatteria educativa aver pensato una
mostruosità del genere, aver cioè delegittimato la figura dell'educatore a tal
punto da costringerlo a difendersi dagli attacchi dei genitori nel momento in
cui, insieme ai suoi colleghi, deve sanzionare un proprio allievo per motivi
oramai sempre più gravi (e sempre più derubricati a inezie nel codice etico-educativo
dei genitori). La sanzione educativa, invece, deve poter essere la risposta
immediata dell'educatore ai propri allievi che disattendono le regole. E ben lo
sanno quei genitori che, di fronte ad un pessimo comportamento dei loro figli a
casa o fuori, si guardano bene dal rimandare di cinque giorni il chiarimento o
la punizione che essi si meritano.
Un cenno,
infine, alla scuola paritaria di Barletta gestita da suore salesiane, in cui
una studentessa, arrivata a scuola con i capelli tinti di blu, messa di fronte
alla necessità di rinunciarvi in base al regolamento, ha preferito lasciare
l’istituto, che i genitori hanno denunciato ai carabinieri per “norme
discriminatorie” (richiesta di abbigliamento consono all’ambiente scolastico).
E poco importa se nelle norme fosse specificato o meno ciò che va bene e cosa
no. Guai a togliere ai docenti e agli altri educatori scolastici quel tanto di
discrezionalità che accompagna qualsiasi azione educativa, altrimenti il
rischio è quello di ritrovarsi di fronte a docenti e presidi demotivati e che
pur di non avere grane sono pronti a tollerare qualsiasi pessimo comportamento
da parte dei propri allievi. Pertanto ben venga una dura reprimenda o un severo
provvedimento disciplinare se uno studente alla fine non trova alcuna
differenza tra un abbigliamento e una
acconciatura più adatti ad una rave party e quello che va bene in una scuola,
per di più gestita da religiose.
Spiace infine, a questo
proposito, aver sentito alla radio un vecchio preside criticare come
“passatista” l'Istituto di Barletta e dire che la scuola deve curarsi
dell’anima dei ragazzi piuttosto che del loro abbigliamento, come se
quest’ultimo non fosse specchio anche del rispetto che ognuno di noi deve agli
altri, anche attraverso l'abito che fa il monaco, caro collega, eccome se lo
fa. (VV)