mercoledì 1 ottobre 2014

FACILITARE E RISPARMIARE, COSÌ SI RINNOVA L'ESAME DI STATO

“L'esame di maturità deve perdere quell'aspetto da giudizio divino, che tra l'altro lo ha fatto diventare costoso”. Così Stefania Giannini ha annunciato che dall’anno scolastico 2015-2016 l’esame di maturità sarà modificato e nuovamente affidato a una commissione di tutti membri interni. L’affermazione del ministro esprime perfettamente la convergenza (si è tentati di dire la connivenza) tra la pedagogia della facilitazione e le esigenze del bilancio statale, a cui solo ben diverse convinzioni educative avrebbero qualche possibilità di resistere. Dunque, facilitiamo l’esame, smettiamo di intimorire i poveri studenti, così oltre a tutto risparmiamo. In questo modo si assesta il colpo di grazia a un esame sempre più svilito per le scelte di quasi tutti i ministri (con la sola eccezione di Fioroni), ma anche per responsabilità di una parte dei dirigenti e dei docenti, che nel loro ruolo di valutatori praticano una presunta “bontà” e dimenticano la giustizia (naturalmente, alla pratica delle promozioni indebite concorrono anche l’ossessione dei ricorsi e  l’ideologia del “diritto al successo formativo”). Sta di fatto che le percentuali degli ammessi e dei promossi sono da decenni altissime, a fronte di una preparazione degli studenti spesso decisamente preoccupante.
In un Paese serio, governato da gente che si ripromette di investire davvero e non a parole  in una scuola improntata al merito e alla serietà, constatato che l’attuale esame di Stato non funziona, la risposta dovrebbe essere di ben altro respiro. Da anni sollecitiamo, insieme all’Anp e a tantissimi colleghi, disposizioni ministeriali che garantiscano la correttezza degli esami: richiami all’etica della lealtà e del merito, esclusione di chi copia, sorveglianza “senza se e senza ma” da parte dei commissari, prevenzione mediante l’uso di rivelatori di cellulari accesi, chiusura dei siti complici degli imbrogli. E sarebbe solo una parte di quella più complessiva iniezione di rigore e di responsabilità di cui ha bisogno la scuola nel suo complesso, a cominciare dal momento degli scrutini finali, troppo spesso trasformati in un’orgia di condoni.
L’esame, insomma, o lo si elimina del tutto insieme al valore legale del titolo di studio, attraverso una revisione della Costituzione, o lo si rende rigoroso e credibile, davvero in grado di rendere giustizia ai “capaci e meritevoli”. Non dunque un “giudizio divino” né  “un appuntamento di sintesi di un anno scolastico”, secondo la nebulosa e poco promettente definizione del Ministro, ma un serio momento di verifica tanto della preparazione degli studenti quanto del lavoro dei loro insegnanti. Auspicabilmente con una commissione tutta esterna, nella consapevolezza che certi costi non  sarebbero sprechi, ma investimenti.
Naturalmente non è solo l’esame conclusivo degli studi, ma tutto il percorso scolastico ad avere bisogno di essere ripensato in questo senso.  Dovrebbe essere ormai chiaro che non è con la rimozione di tutti gli ostacoli  che si può dare ai  giovani  la fiducia e gli strumenti per affrontarli. Un percorso scolastico scandito da esami, tra i quali senza dubbio quello al termine della scuola primaria, sarebbe molto più corrispondente, come la psicologia certifica ad abundatiam, alle esigenze della crescita morale e intellettuale dei giovani.