“L'esame di maturità deve perdere
quell'aspetto da giudizio divino, che tra l'altro lo ha fatto diventare
costoso”. Così Stefania Giannini ha annunciato che dall’anno scolastico
2015-2016 l’esame di maturità sarà modificato e nuovamente affidato a una commissione
di tutti membri interni. L’affermazione del ministro esprime perfettamente la
convergenza (si è tentati di dire la connivenza) tra la pedagogia della
facilitazione e le esigenze del bilancio statale, a cui solo ben diverse
convinzioni educative avrebbero qualche possibilità di resistere. Dunque,
facilitiamo l’esame, smettiamo di intimorire i poveri studenti, così oltre a
tutto risparmiamo. In questo modo si assesta il colpo di grazia a un esame sempre più svilito per
le scelte di quasi tutti i ministri (con la sola eccezione di Fioroni), ma
anche per responsabilità di una parte dei dirigenti e dei docenti, che nel loro
ruolo di valutatori praticano una presunta “bontà” e dimenticano la giustizia
(naturalmente, alla pratica delle promozioni indebite concorrono anche
l’ossessione dei ricorsi e l’ideologia del “diritto al successo
formativo”). Sta di fatto che le percentuali degli ammessi e dei promossi sono
da decenni altissime, a fronte di una preparazione degli studenti spesso
decisamente preoccupante.
In un Paese serio, governato da gente che si ripromette di
investire davvero e non a parole in una scuola improntata al merito e
alla serietà, constatato che l’attuale esame di Stato non funziona, la risposta
dovrebbe essere di ben altro respiro. Da anni sollecitiamo, insieme all’Anp e a
tantissimi colleghi, disposizioni ministeriali che garantiscano la correttezza
degli esami: richiami all’etica della lealtà e del merito, esclusione di chi
copia, sorveglianza “senza se e senza ma” da parte dei commissari, prevenzione
mediante l’uso di rivelatori di cellulari accesi, chiusura dei siti complici
degli imbrogli. E sarebbe solo una parte di quella più complessiva iniezione di
rigore e di responsabilità di cui ha bisogno la scuola nel suo complesso, a cominciare
dal momento degli scrutini finali, troppo spesso trasformati in un’orgia di
condoni.
L’esame, insomma, o lo si elimina del tutto insieme al valore
legale del titolo di studio, attraverso una revisione della Costituzione, o lo
si rende rigoroso e credibile, davvero in grado di rendere giustizia ai “capaci
e meritevoli”. Non dunque un “giudizio divino” né “un appuntamento di sintesi di un anno
scolastico”, secondo la nebulosa e poco promettente definizione del Ministro,
ma un serio momento di verifica tanto della preparazione degli studenti quanto
del lavoro dei loro insegnanti. Auspicabilmente con una commissione tutta
esterna, nella consapevolezza che certi costi non sarebbero sprechi, ma investimenti.
Naturalmente non è solo l’esame conclusivo degli studi, ma tutto
il percorso scolastico ad avere bisogno di essere ripensato in questo
senso. Dovrebbe essere ormai chiaro che
non è con la rimozione di tutti gli ostacoli
che si può dare ai giovani la fiducia e gli strumenti per affrontarli.
Un percorso scolastico scandito da esami, tra i quali senza dubbio quello al
termine della scuola primaria, sarebbe molto più corrispondente, come la
psicologia certifica ad abundatiam,
alle esigenze della crescita morale e intellettuale dei giovani.