("Corriere Fiorentino", 26 settembre 2014)
Gentile Direttore,
nel documento del
Governo Renzi La buona scuola il
quinto capitolo, dal titolo Fondata sul
lavoro, è dedicato al rapporto tra la scuola e il mondo del lavoro, a
partire dalla constatazione che “a fronte di un alto tasso di disoccupazione,
le imprese faticano a trovare competenze chiave”, tanto nell’industria
elettronica e informatica quanto in settori come quelli del mobile e
dell’arredamento. Le premesse sono condivisibili e i propositi meritori.
Apprezzabile in particolare l’idea della Bottega
scuola, cioè “esperienze di inserimento degli studenti in contesti
imprenditoriali legati all’artigianato, al fine di coinvolgere attivamente
anche imprese di minori dimensioni o tramandare i mestieri d’arte”. Ma oltre a frequentare le botteghe degli
artigiani, per gli studenti interessati ai mestieri d’arte c’è bisogno di una
scuola ad hoc, un percorso di studi che
dia loro una specifica preparazione professionale. Che attualmente non esiste
più. Infatti una delle novità più rilevanti della riforma dei licei del
ministro Gelmini fu l’unificazione del Liceo Artistico e dell’Istituto d’Arte.
In sé è senz’altro un’ottima cosa che nel nuovo Liceo gli studenti possano
scegliere fra numerosi percorsi formativi che prescindono dall’anacronistica
gerarchia tra arti maggiori e arti minori o applicate (quella che Walter
Gropius definiva “l’arrogante barriera tra artigiano e artista”).
Sbagliatissima invece la scelta di non conservare nella secondaria superiore
anche un percorso più caratterizzato in senso professionale, come era
l’Istituto d’Arte. La dobbiamo all’onda lunga di un orientamento culturale che
ha ispirato negli ultimi decenni le politiche scolastiche, per il quale la
scuola sarebbe tanto più democratica quanto più a lungo uguale per tutti e
quanto più simile a un liceo. Risultato: lo snaturamento dell’istruzione
professionale, che ha visto progressivamente ridursi fin quasi a scomparire le
ore di laboratorio, e percentuali molto alte di ripetenze e di abbandoni,
soprattutto nei primi due anni.
Con la sparizione
dell’Istituto d’arte si rischia di perdere anche altro, cioè una straordinaria
tradizione di mestieri d’arte. Il Liceo Artistico, in quanto appunto liceo, è
per definizione una scuola in grado di dare agli studenti la preparazione per
affrontare l’università o studi superiori in settori affini (l’architettura, il
design, la grafica, l’Accademia…). Non ha dunque lo scopo di insegnare un
mestiere e verranno quindi a mancare
delle figure di tecnici esperti nei diversi settori della produzione o della
conservazione e restauro di manufatti artistici, figure molto diverse da quella
del designer. Nella stampa nazionale sono più volte apparsi articoli sulle
difficoltà che incontrano molte aziende del “made in Italy” nel trovare questo
tipo di professionalità. A quanto pare
non è un problema trovare chi disegna scarpe, mentre sono rarissimi i tecnici capaci di trasformare un modello
in un prototipo.
La riforma Gelmini
prevede per le Regioni la possibilità di istituire presso gli istituti
professionali statali, dei corsi triennali di Istruzione e Formazione
professionale detti complementari, finalizzati al conseguimento di un
diploma e con la possibilità di fare significative modifiche al quadro orario,
riequilibrandolo a favore delle ore di pratica laboratoriale.
Questa possibilità dovrebbe essere data anche a quei licei
artistici che, in quanto ex-istituti d’arte, possiedono tanto i laboratori che
le necessarie competenze professionali. Occorre una modifica normativa e una
scelta politica e culturale che sarebbe del tutto coerente con il programma
della “Buona scuola”.
Andrea Ragazzini
Gruppo di Firenze per
la scuola
del merito e della
responsabilità