Gentile signora Barberio,
mi dispiace molto che il mio breve
articolo l'abbia indignata. Non era certo questa la mia intenzione. Avendo specificato subito che non conosciamo le
cause del suicidio attuato dal bambino, consideravo
implicitamente assurda la ricerca di colpevoli a tutti i
costi.
Tuttavia la mia costante attenzione all'età evolutiva mi
fa cogliere l'estrema fragilità delle ultime generazioni. Ed è
questa la motivazione che mi induce a segnalare la necessità di
rinnovare l'atteggiamento di alcuni docenti (non tutti,
probabilmente non lei) che restano fedeli alla tradizione della
nostra scuola, centrata sull'apprendimento intellettuale
più che
sullo sviluppo affettivo. Basta pensare alla poca
importanza attribuita alle attività espressive: pittura, musica,
canto, danza,recitazione. Se lei, come credo, è impegnata
nell'insegnamento, conoscerà colleghi, magari competenti e
motivati, che tuttavia si attengono strettamente all'ambito
della loro disciplina. Viviamo in un'epoca difficile,
contrassegnata dalla crisi della società e della famiglia, ed è
per questo che, a mio avviso, si rende necessario affinare la
sensibilità e condividere le responsabilità educative. Sono
pienamente d'accordo con lei ( provengo da una famiglia di
insegnanti, ho insegnato per trent'anni e mio figlio continua la
nostra genealogia) per quanto riguarda il valore della Scuola -
un pilastro di civiltà nel generale degrado - e il rispetto che
dobbiamo ai docenti.
Prendo comunque atto della sua reazione e
cercherò, nei limiti dello spazio concesso, di chiarire meglio
il mio punto di vista.
Grazie dell'attenzione.
Silvia Vegetti
Finzi
Commento: Vedo confermata la mia impressione: la dottoressa Vegetti Finzi dimostra di avere un’idea piuttosto
schematica della scuola, quanto meno delle medie (è vero che ha insegnato per
tanti anni, ma all’università, che è tutt’altro mondo). Questa insistenza sul
fatto che molti docenti “si limitano” a insegnare la propria materia (come se
fosse inevitabilmente un esercizio privo di connotazioni affettive!) sembra non
tenere conto della varietà di stili relazionali con cui lo si può fare,
mettendosi in grado di sintonizzarsi il più possibile con gli allievi e dando
via via spazio all’espressione di sé da parte loro: attraverso i temi (strumento
importantissimo), le discussioni, la possibilità di commentare e via dicendo.
Non è quindi solo attraverso la pittura, la musica e la recitazione che gli
alunni hanno l’occasione di esplorare il proprio mondo interiore e i loro
rapporti con gli altri. In ogni caso il fatto di impostare un discorso di
carattere generale a partire da un caso specifico, in cui nulla autorizzava a
sospettare inadeguatezze e deficienze degli insegnanti del ragazzo suicida,
rimane un grave errore, al quale la risposta della Vegetti non toglie purtroppo niente. Tra l’altro stupisce
quanto poco sia sottolineato il ruolo che hanno le vicende e i rapporti
familiari nella costruzione di una personalità fragile; e questo mentre invece
si insinua che un solo mese di scuola sia bastato a provocare questo tragico
gesto. Infine: non fa parte questo sgradevole episodio della
tendenza a sovraccaricare la scuola di troppe responsabilità, a volte anche
improprie?
Giorgio Ragazzini
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