lunedì 5 novembre 2012

SILVIA VEGETTI FINZI RISPONDE ALLA CRITICHE

Gentile signora Barberio, 
mi dispiace molto che il mio breve articolo l'abbia indignata. Non era certo questa la mia intenzione. Avendo specificato subito che non conosciamo le cause del suicidio attuato dal bambino, consideravo implicitamente assurda la ricerca di colpevoli a tutti i costi.
Tuttavia la mia costante attenzione all'età evolutiva mi fa cogliere l'estrema fragilità delle ultime generazioni. Ed è questa la motivazione che mi induce a segnalare la necessità di rinnovare l'atteggiamento di alcuni docenti (non tutti, probabilmente non lei) che restano fedeli alla tradizione della nostra scuola, centrata sull'apprendimento intellettuale
più che sullo sviluppo affettivo. Basta pensare alla poca importanza attribuita alle attività espressive: pittura, musica, canto, danza,recitazione. Se lei, come credo, è impegnata nell'insegnamento, conoscerà colleghi, magari competenti e motivati, che tuttavia si attengono strettamente all'ambito della loro disciplina. Viviamo in un'epoca difficile, contrassegnata dalla crisi della società e della famiglia, ed è per questo che, a mio avviso, si rende necessario affinare la sensibilità e condividere le responsabilità educative. Sono pienamente d'accordo con lei ( provengo da una famiglia di insegnanti, ho insegnato per trent'anni e mio figlio continua la nostra genealogia) per quanto riguarda il valore della Scuola - un pilastro di civiltà nel generale degrado - e il rispetto che dobbiamo ai docenti.
Prendo comunque atto della sua reazione e cercherò, nei limiti dello spazio concesso, di chiarire meglio il mio punto di vista.  

Grazie dell'attenzione. 
Silvia Vegetti Finzi

Commento: Vedo confermata la mia impressione: la dottoressa Vegetti Finzi dimostra di avere un’idea piuttosto schematica della scuola, quanto meno delle medie (è vero che ha insegnato per tanti anni, ma all’università, che è tutt’altro mondo). Questa insistenza sul fatto che molti docenti “si limitano” a insegnare la propria materia (come se fosse inevitabilmente un esercizio privo di connotazioni affettive!) sembra non tenere conto della varietà di stili relazionali con cui lo si può fare, mettendosi in grado di sintonizzarsi il più possibile con gli allievi e dando via via spazio all’espressione di sé da parte loro: attraverso i temi (strumento importantissimo), le discussioni, la possibilità di commentare e via dicendo. Non è quindi solo attraverso la pittura, la musica e la recitazione che gli alunni hanno l’occasione di esplorare il proprio mondo interiore e i loro rapporti con gli altri. In ogni caso il fatto di impostare un discorso di carattere generale a partire da un caso specifico, in cui nulla autorizzava a sospettare inadeguatezze e deficienze degli insegnanti del ragazzo suicida, rimane un grave errore, al quale la risposta della Vegetti non toglie purtroppo niente. Tra l’altro stupisce quanto poco sia sottolineato il ruolo che hanno le vicende e i rapporti familiari nella costruzione di una personalità fragile; e questo mentre invece si insinua che un solo mese di scuola sia bastato a provocare questo tragico gesto. Infine: non fa parte questo sgradevole episodio della tendenza a sovraccaricare la scuola di troppe responsabilità, a volte anche improprie?
Giorgio Ragazzini 
  
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