domenica 1 settembre 2013

SEVERGNINI FA IL DON MILANI: E LA COLPA È ANCORA DELLA PROF

Beppe Severgnini ha riletto Lettera a una professoressa  e ha deciso che è valida oggi come ieri, quando veniva sventolata dai sessantottini (“che ci volete fare, ogni tanto anche loro ne imbroccavano una”). Così ha deciso di utilizzare “La Lettura”,  il supplemento domenicale del “Corriere della Sera”, per inviare un’altra lettera – anzi un’ email – alla famigerata professoressa.
Pur avendo già parlato tante volte di don Milani (appassionamento giovanile di tanti, noi compresi, successivamente rischiarato in molti, noi compresi, dall’esperienza scolastica ), vale la pena di commentare almeno le affermazioni salienti, seguendo il metodo adottato da Severgnini di far seguire una riflessione a una citazione milaniana. 
"La selezione è prerogativa dell’università. Alle elementari e alle medie — inferiori e superiori — bisogna scavare dentro i ragazzi e scovare le loro inclinazioni, correggendo le loro debolezze."
Per rispondere a questa tesi basta citare la Lettera originale, che definiva “selezione doverosa” quella delle superiori: “Il problema qui si presenta tutto diverso da quello della scuola dell’obbligo. Là ognuno ha un diritto profondo a essere fatto uguale. Qui invece si tratta solo di abilitazioni. Si costruiscono cittadini specializzati al servizio degli altri. Si vogliono sicuri. Per esempio per le patenti siate severi. Non vogliamo essere falciati per le strade. Lo stesso per il farmacista, per il medico, per l’ingegnere.[1]” Forse Severgnini aveva in mente solo i laureati, senza pensare che le scuole superiori rilasciano anche diplomi validi per lavorare nell’industria, nell’artigianato, nell’agricoltura e nei servizi. E comunque anche per le professioni che richiedono la laurea non possiamo utilizzare cinque anni di superiori come puro e semplice orientamento, dato che già ora si iscrivono alle facoltà universitarie ragazzi che non sanno scrivere bene, né argomentare e per di più scarseggiano di cultura generale. 
"Il fallimento di una classe è il fallimento di un insegnante: non ci sono eccezioni a questa regola."
Questo notorio luogo comune sulla scuola, che esime gli studenti da ogni responsabilità,  è la sintesi di una deriva culturale , che, nella riflessione della burocrazia ministeriale e dei pedagogisti che la supportano, ha visto “la scomparsa di un tema che al contrario dovrebbe essere centrale in ogni riflessione educativa, la volontà.”[2]  Per fortuna lo stesso Severgnini smentisce se stesso verso la fine dell’articolo :  
"Certo: ai ragazzi bisogna spiegare che neppure il miglior insegnante può far molto, se trova continue chiusure. Dicono i cinesi: il maestro arriva quando il discepolo è pronto."
Si passa poi ai dati sull’insuccesso scolastico: 
"La scuola superiore italiana, nel 2012, ha perso il 18 per cento degli iscritti: quasi uno su cinque, una percentuale drammatica. […] Ma la severità, talvolta al limite del sadismo, non è una via d’uscita."
Qui viene da chiedersi se per caso l’autore dell’email abbia fatto un viaggio a ritroso nel tempo, magari dalle parti di Dickens. È probabile che su oltre seicentomila docenti ce ne sia più di uno che corrisponde all’identikit; ma la scuola italiana nel suo complesso è notoriamente afflitta da patologie di segno opposto. Soprattutto in tema di rispetto delle regole e di sanzioni educative, ma spesso anche quando si tratta di trarre delle conclusioni in base a risultati scolastici desolanti. E “le famiglie, spesso, non aiutano” non solo spingendo i figli “verso studi inadeguati”, ma anche pretendendo di sostituirsi all’insegnante nella valutazione, magari con l’aiuto di qualche giudice. 
"Si deve trovare il modo di utilizzare le scuole al pomeriggio. Lasciarle vuote è uno spreco. Caricare i ragazzi di compiti a casa — com’è ormai la norma, soprattutto nei licei — è un’alternativa crudele. Non volete chiamarlo doposcuola o tempo pieno? Scegliamo un altro nome."
È il mantra del Pd e di chi pensa che aumentando l’”esposizione” alla scuola si migliorino senz'altro gli apprendimenti. C’è stato e c’è tutto un lavorio in corso per costringere quei pelandroni dei docenti italiani a lavorare di più trattenendosi anche il pomeriggio, senza tenere in alcun conto gli studi sullo stress professionale con le patologie che ne derivano. E senza curarsi dell’assoluta mancanza di spazi adeguati, come quelli esistenti in molti paesi europei. La cosa migliore sarebbe aiutare gli studenti più grandi – se ne avessero voglia – a creare associazioni studentesche nelle proprie scuole, che progettino e gestiscano in proprio attività culturali e ricreative, esercitando così responsabilità e capacità organizzative. 
"Tutto s’impara: dove non arriva il talento, arriva la tenacia. Sa che, in prima superiore, ho preso qualche insufficienza in italiano scritto? Usavo vocaboli incomprensibili, una sintassi barocca, concetti astrusi. Devo ringraziare due sue colleghe — Paola Cazzaniga Milani al ginnasio, Giuseppina Torriani al liceo — se ho cambiato registro. 
A proposito: oggi come me la sono cavata?"
La parola alla professoressa: “Maluccio, caro Severgnini. Sei un ragazzo vivace e in genere di buon senso. Oggi però sei stato un po’ presuntuoso. Prima di dare giudizi dovresti conoscere meglio la materia. Sono certa che da ora in avanti ti sforzerai di farlo.”  (Giorgio Ragazzini)
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[1] Lettera a una professoressa, p. 111. 
2] Adolfo Scotto di Luzio, La scuola che vorrei, p.106.