Il titolo dell’articolo, Educare i bambini alla libertà, fa ben sperare sul valore delle tesi dell’opinionista, almeno per chi dà per assodato che non c’è libertà senza regole, né conquista di diritti senza acquisizione di doveri. Oltretutto l’autore non è un “nuovista” a tutti i costi ed è noto per le sue critiche alla colonizzazione digitale della scuola, cioè all’abuso delle nuove tecnologie in funzione di una didattica innovativa.
Restiamo pertanto sconcertati quando Casati prende per buona la distinzione di Colombo tra “regole restrittive”, da evitare in quanto associate alla punizione nel caso che le si violi, e “regole istitutive, che non limitano l’azione, ma creano diritti […], definiscono la nostra libertà e permettono di immaginare una transizione dalla società "verticale", organizzata gerarchicamente, alla società "orizzontale", basata sull'assunzione individuale di responsabilità. Insegnare queste regole, e trasmettere il senso del loro ruolo liberatorio, è dunque un vero e proprio compito per la scuola e i genitori.” Ovviamente una tale contrapposizione non sta in piedi: sarebbe come dire che si devono abolire i doveri lasciando solo i diritti; e sappiamo che sono proprio i primi a garantire l’effettività dei secondi. In questa vagheggiata quanto vaga “società orizzontale”, tra l’altro, dovrebbe comunque sopravvivere il “verticale” principio di autorità, che permetta appunto la trasmissione di corrette norme di comportamento e di conseguenza l’assunzione individuale di responsabilità nel rispetto della propria e dell’altrui libertà.
A conferma della fiducia in questa democrazia dal basso, Casati aggiunge: “La regola restrittiva va a braccetto con la punizione. La ricerca nelle scienze cognitive suggerisce che le punizioni e le ricompense tradizionali abbiano uno scarso effetto… Basterebbe provare a non punire, e vedere che le cose si aggiustano comunque da sole” (sic!).
Credo che la migliore risposta a Casati e a Gherardo Colombo – che, ricordo, ha affermato “io non voglio punire Riina, voglio convincerlo” – la dia il filosofo Wittgenstein con un aforisma ancora attuale contro teorie pedagogiche astratte e democraticistiche: “Siamo finiti su una lastra di ghiaccio dove manca l’attrito e perciò le condizioni sono in un certo senso ideali, ma appunto per questo non possiamo muoverci. Vogliamo camminare; dunque abbiamo bisogno dell’attrito. Torniamo sul terreno scabro!” (SC)