Nessuno sa bene quali manovre si
stiano apparecchiando al ministero nei confronti del mondo scolastico. Di
sicuro in un qualsiasi altro paese un sottosegretario che avesse detto "sciocchezze" in merito a quanto stava progettando sarebbe saltato, anche se avesse chiesto scusa.
Peraltro in un qualsiasi altro paese difficilmente sarebbe stato nominato un
sottosegretario all’istruzione del tutto inesperto di questioni scolastiche
(parole sue). Eppure
da noi questa è la regola, con rare eccezioni; ed è una condizione che li
espone maggiormente all’influenza delle solite "squadre di lavoro"
che dettano legge in materia di scuola (sindacalisti passati nella burocrazia
ministeriale, direttori ed ex direttori generali, ispettori ed ex
ispettori, pedagogisti incarogniti contro la classe docente), che probabilmente
anche ora stanno preparando la loro "grande riforma".
Andò così con Berlinguer. Quando fu
eletto alla camera, Berlinguer aveva manifestato idee positive sulla scuola,
suscitando qualche speranza (ricordo ad esempio il consenso iniziale della
Gilda). Lo posso testimoniare insieme ad altre 15 persone
rappresentanti le scuole del centro fiorentino, che lo incontrarono in
casa mia nel febbraio 1996, quale candidato alle elezioni politiche, per
conoscere le sue idee per la scuola. In
quella occasione il futuro ministro lamentò la scarsa considerazione, anche
economica, di cui godeva il corpo docente e che questo in particolare
rappresentava la prima emergenza della scuola italiana. Prese poi spunto dalla
delusione rispetto al modello scolastico americano, che il figlio aveva
frequentato per un anno, il quale, a suo parere, non era in grado di
trasmettere una solida cultura generale, a differenza di quella italiana. Citò
inoltre, a conferma del suo apprezzamento per il modello scolastico di stampo
liceale, quanto gli avevano fatto presente alcuni amici sia
imprenditori che funzionari di banca; e cioè che la scuola doveva
garantire una solida cultura di base perché poi avrebbero pensato loro a
insegnare ai giovani i programmi informatici e altri aspetti tecnici
del lavoro.
Poi il politico divenne preda
delle "avanguardie" socio-pedagogiste e sindacali, sconfessando in
buona parte quella che era la sua precedente visione della scuola, almeno di
quella che aveva dipinta a noi, ingenui docenti pieni di attese.
Oggi, come ho
sopra ricordato, temo che la storia possa ripetersi e questo timore nasce
dall'assoluto silenzio, proprio alla vigilia della pausa estiva, che si sta
mantenendo da parte di chi, sottosegretario Reggi in primo luogo, sta lavorando
alla "grande" trasformazione della scuola.
Quanto a
entrare nel merito di quello che è stato per sommi capi preannunciato, dovrei
ripetere cose che abbiamo già detto in passato in circostanze analoghe. Accenno
solo ad alcune.
- non è vero
che gli insegnanti italiani lavorano
meno di quelli europei;
- c’è una
grave inconsapevolezza della fatica e non di rado dello stress che
caratterizzano un serio impegno professionale;
- è
semplicemente ridicolo solo pensare che la maggior parte delle scuole italiane
sia minimamente in grado ospitare tutti gli insegnanti in condizioni almeno
decenti per il lavoro pomeridiano;
- è illusorio
pensare che le scuole aperte (“fino alle 22”!) sarebbero davvero frequentate da
un gran numero di studenti. Molti istituti, infatti, propongono già da tempo
attività sportive o altri progetti extracurriculari (teatro, musica, scrittura
creativa…), ma la frequenza è in moltissimi casi pressoché nulla. Solo chi non
sa niente di scuola o da anni ne è al di
fuori, magari perché “distaccato”, non si è reso conto che le richieste da
parte degli studenti di “impossessarsi”
degli istituti scolastici durarono poco (fino a quando, appunto, le
scuole giustamente decisero di aprirsi alle loro richieste).
- una maggiore
quantità di scuola (secondo la vecchia illusione quantitativa tipica di molta
sinistra) è utile solo nel caso di allievi insufficienti, ma che si
impegnano almeno un po', oppure sono stati assenti;
- premiare i
migliori insegnanti non migliora la scuola e può essere dannoso ai rapporti tra
colleghi; bisogna invece assicurare a tutti gli allievi dei docenti almeno
decorosi. Cosa ben diversa sarebbe quella di riconoscere stipendi diversificati
ad insegnanti che magari per concorso potrebbero accedere a ruoli e a carriere
particolari quali, per esempio, la vicepresidenza, la responsabilità nella
formazione dei nuovi assunti, l’occuparsi
a tempo pieno dell’alternanza scuola-lavoro, dell’aggiornamento e altro
ancora.
Quando le
misure saranno finalmente note, potremo fare ulteriori valutazioni (peraltro, a
differenza dei miei amici del Gruppo, da ex studente dell’Istituto magistrale, sono
da sempre d'accordo sulla opportunità di accorciare il percorso quinquennale
delle superiori). Ma che non si prendano a schiaffi i docenti e tutte le altre
figure che lavorano nella scuola! Gli schiaffi, beninteso metaforici, se li
dovrebbero prendere tutti coloro che – da sempre fuori dalla scuola e imbucati,
per demeriti vari, nelle carriere ministeriali, sottogovernative,
burocratico-amministrative, universitarie, sindacali e affini – da anni e anni fanno il buono e soprattutto il
cattivo tempo nella politica scolastica.
Se la politica, quella che spero sopravviva ancora con la P maiuscola, dovesse
rompere gli ultimi legami che ha con la stragrande maggioranza del mondo
scolastico (quale altro collante ha questo povero Paese?) sarebbe un danno
forse irreversibile per la salvaguardia della democrazia. (Valerio Vagnoli)