Se tu hai una mela e io ho una mela e ce le
scambiamo,
tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno.
Ma se tu hai un'idea e io ho un'idea e ce le
scambiamo,
allora abbiamo entrambi due idee.
(George Bernard Shaw)
Il numero 513 di “TuttoscuolaFOCUS” torna
sull’obbligo di aggiornamento, che come diritto-dovere esiste sulla carta già
da tempo, ma che di recente è stato ribadito come vero e proprio obbligo,
almeno relativamente a situazioni particolari, nel decreto legge 104/13, detto
“L’istruzione riparte” dall’ex ministro Carrozza e poi confermato nonostante le
obbiezioni di parte sindacale. “Tuttoscuola” ritiene però che “nel DNA
professionale dei docenti italiani” sia difficile da sradicare l’idea che
l’aggiornamento sia un diritto e basta, che poi nei fatti è diventato “il
diritto contrattuale di non aggiornarsi”. A conferma, la rivista porta un recente
episodio. “La Regione Lazio propone ad
una ventina di scuole della capitale un breve ciclo di lezioni
tecnico-didattiche sull’uso delle LIM, le lavagne interattive multimediali.
Mette a disposizione fior di esperti. Le lezioni sono riservate ad un paio di
docenti per scuola, per un massimo di una cinquantina di docenti. Su 50 docenti
attesi erano presenti in 5. Lezioni molto ben condotte per un’aula quasi vuota.
Che peccato, che spreco”.
Proprio questo esempio, però, è
altamente dimostrativo di quanto poco si cerchi di comprendere questa
resistenza. A nessuno infatti è venuto ancora in mente che si dovrebbero
interpellare gli stessi insegnanti in merito agli argomenti su cui sentono il bisogno
di aggiornarsi, invece di continuare a proporre argomenti che non sono per
forza in cima alla lista dei loro interessi. Tutti abbiamo avuto esperienza di
corsi inutili e magari anche noiosi; e nel caso specifico, poi, può aver pesato il fatto che di lavagne interattive spesso non ce n'è che una in tutto l'istituto, non esattamente la condizione ideale per motivare i docenti. Ma soprattutto c’è un fondamentale
problema di metodo: più volte su questo blog, e da ultimo nel nostro dossier Una grande riforma a portata di mano,
abbiamo fatto presente che negli ultimi decenni ci si è sistematicamente
rivolti agli insegnanti italiani soltanto come a oggetti passivi di
aggiornamento sulle varie mode pedagogiche e didattiche (quelle che tra l’altro
hanno inferto colpi durissimi alla scuola italiana), così contribuendo
pesantemente a demotivarli. Se è logico considerare la formazione continua un
dovere primario di ogni professionista, dovrebbe esserlo altrettanto
considerare ogni professionista – docenti inclusi – anche come depositario di
competenze e di esperienze potenzialmente utili ai propri pari. Eppure la
pratica del lavoro seminariale, tipico
delle professioni e della ricerca, è praticamente assente nella scuola
italiana, specialmente in quella secondaria. In altre parole, gli insegnanti
non vengono considerati, né in genere considerano sé stessi, esperti di
didattica della propria materia, mentre vengono presentati come veri esperti
una serie di personaggi, che, con le dovute eccezioni, hanno idee molto
approssimative su che cosa succeda veramente in una classe. Mettersi intorno a
un tavolo e scambiarsi ordinatamente idee e esperienze su un tema di comune
interesse (cioè non calato dall’alto) produce invece una serie di effetti
positivi. Il primo è quello di rendere possibile la circolazione di un ricco
insieme di idee e di esperienze, che, attraverso il confronto e la discussione,
contribuiscono alla crescita professionale dei docenti molto più di tante
conferenze. A sua volta questo arricchimento reciproco è fortemente motivante
per i partecipanti, proprio perché viene data per scontata la loro competenza
professionale e la possibilità di essere utili ai colleghi. Inoltre, con il
susseguirsi di queste esperienze, si costruisce un gratificante senso di
appartenenza a una comunità professionale, all’interno della quale ci si sente
sostenuti e potenziati. Infine, attraverso il libero confronto fra diversi
approcci agli stessi problemi, si può comprendere in concreto quanto sia
importante e feconda la più ampia libertà metodologica e quanto sia necessario
difenderla dai ciclici tentativi di imporre un’ortodossia didattica. Naturalmente
non si vuole qui invitare all’assoluta autoreferenzialità: non è affatto
escluso, infatti, che si senta la necessità di interpellare su qualche
argomento un (vero) esperto esterno alla scuola.
Quanto al dilemma diritto-dovere da
cui siamo partiti, non è pensabile che, di fronte alla crescente difficoltà del
mestiere di insegnante, i docenti in maggioranza non sentano l’esigenza – e
magari l’urgenza – di una crescita professionale. È molto probabile che la
disponibilità o meno all’aggiornamento dipenda in gran parte dalla percezione
della sua effettiva utilità e che le resistenze siano destinate a venire meno
nel momento in cui gli insegnanti siano messi in grado di sceglierne i
contenuti in base alle proprie esigenze e di esserne protagonisti attivi e non
più solo passivi. E il metodo seminariale, come mi conferma l’esperienza
personale, possiede per l’appunto queste essenziali caratteristiche. (GR)