Domenica scorsa, al Poggio Imperiale di Firenze, sede dell'Educandato della SS. Annunziata, si è festeggiato
l’ingresso della Villa, insieme ad altre dimore storiche medicee, tra i beni
riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Come sappiamo, la villa
ospita dal 1865 una scuola anch’essa “storica”, l’Educandato statale della SS.
Annunziata, che ha ospitato principessine destinate a diventare regine, nobili
ragazzine destinate a regredire allo stato borghese e borghesi che ambivano a
diventare nobili, talvolta anche riuscendovi. La scuola, in passato, forse
appariva troppo compresa nel suo ieratico isolamento, concedendosi poche volte
alla città che vedeva con stupore “le poggioline” sfilare per le eccezionali
passeggiate nel centro storico, scese a piedi in fila militaresca, nella loro divisa quasi monacale che le
rendeva alla fine forse un po’ tristi,
come le rappresentò in uno dei suoi quadri più belli il pittore fiorentino
Gianni Vagnetti.
Gli anni settanta del secolo
scorso cancellarono il passato anche al Poggio: le divise scomparvero e la scuola
si aprì anche ai maschi, aggiungendosi alle convittrici studenti e studentesse
fiorentini e della provincia, purché versassero una retta a dire il vero per nulla esosa.
I fiorentini, da parte loro, conoscono
poco il Poggio e capita spesso che la gente, anche dell’ambiente scolastico, si dichiari
convinta che l’Educandato sia una scuola privata, malgrado, invece, sia una
delle scuole statali più antiche, se non addirittura la più antica.
Al Poggio, come si conviene in
qualsiasi storica istituzione del nostro Paese è passato di tutto: gente onesta e furfanti, ladri di opere d’arte con
evidenti complicità interne e amministratori che si sono intascati, per anni, centinaia di miglia di euro
senza che nessuno si preoccupasse di
chiederne conto. Docenti quali Matteo Marangoni (il Poggio è stata la prima
scuola italiana in cui si sperimentò, proprio con l’allora giovane Marangoni,
l’insegnamento della Storia dell’arte), Enzo Faraoni e Luigi Baldacci, tanto
per fare i nomi di alcuni grandissimi maestri del Novecento, ma anche Direttrici e Consiglieri di amministrazione
estasiati nel condurre le bambine e le
ragazzine del Poggio, con bandiere
svolazzanti le croci uncinate, ad urlare eccitate “nella sera della loro
tregenda”, come la definì Montale, i nomi di Hitler e Mussolini in occasione
della loro sfilata fiorentina della primavera del ’38.
Ma dal Poggio è passata anche
tanta gente per bene e tra queste mi preme ricordare due nomi, entrambi
valtellinesi: Pio Rajna, che per diversi anni e oramai vecchissimo ne fu
presidente del Consiglio di amministrazione,
e Maria Patrizi che ne fu, più o meno nello stesso periodo, direttrice. Del primo “ un esemplare di ciò
che fu l’homo sapiens prima che la sapienza fosse peccato” come lo definirà lo stesso Montale, forse
qualcosa a malapena rimane, almeno nella memoria di coloro che si
occupano di Filologia romanza. Dell’altra di sicuro sono tra i pochissimi ad
averne memoria, per puro caso e forse solo in virtù della fortuna che mi è
caduta addosso nell’avere ricevuto anche l’incarico della reggenza del Poggio, oltre alla scuola che
normalmente dirigo. E per non correre il rischio di rimanere, stavolta per
dirla con Ungaretti, il solo a sapere “ancora che visse” vorrei dedicare a lei,
a Maria Patrizi, appunto, la festa di questi giorni al Poggio Imperiale. E
ricordare che trattò Mussolini, quando questi venne a visitare per la prima
volta la figlia Edda, al pari degli altri genitori facendolo aspettare in
sala d’attesa per farlo poi accompagnare dalla portinaia nel suo ufficio. E
alla richiesta del dittatore di visitare seduta stante il collegio, oppose un
essenziale e netto rifiuto limitandosi
ad allargare le tende della sua finestra per mostrargli le bambine che stavano
facendo ricreazione in giardino. Da allora in poi, per il periodo in cui Edda
rimase al Poggio (solo per l’anno scolastico 1925-26 ) Mussolini si recherà più volte a trovare la
figlia senza tuttavia scendere di macchina attendendo fuori dall’istituto che essa
uscisse.
Dieci anni dopo, Maria Patrizi fu
cacciata dal Poggio. Oramai scomparso il Rajna e forse evaporato del tutto
quello spirito liberale che pur era riuscito a sopravvivere nei primi anni del
fascismo, il regime non le perdonò di non aver permesso alle allieve di
ascoltare la sera del 9 maggio, in diretta alla radio, il discorso del duce che
proclamava la nascita dell’Impero. Alle otto di sera si doveva come sempre
cenare e nessun ordine e nessun proclama avrebbe infranto le regole
dell’Istituto.
Qualcuno, dall’interno, avvertì a Roma il gerarca di riferimento
e la mattina successiva arrivò l’ordine di immediata rimozione e allontanamento
entro 24 ore della direttrice, esattamente l'11 maggio di settantotto anni
fa, a cui subentrò la sua vice. (Per caso e solo per caso la nostra festa
si è svolta proprio l’11 maggio).
Nel registro dei verbali dei
Consigli di amministrazione manca quello del mese di maggio del ‘36, e la
numerazione delle pagine si interrompe al numero 11, appunto all’ultima pagina
del mese precedente. Poi, come se niente fosse accaduto, i verbali ricominciano
dal mese di giugno senza più alcuna numerazione e su quello che era successo il
mese precedente non compare, da nessuna parte,
un pur minimo riferimento. Pensavano, per dirla con Sciascia, di aver cancellato la loro miserabile
azione e invece omettendo di raccontare quanto era accaduto, avevano firmato la
loro condanna e confessata la loro appartenenza ad una razza di fanatici
lacché, mediocri e ottusi.
Per nostra fortuna, la Storia è
fatta anche da persone come Maria Patrizi, una granduchessa della modernità,
almeno sul piano etico e morale; un patrimonio anch’esso da non dimenticare.
Valerio Vagnoli
(“Corriere
Fiorentino”, 14 maggio 2014)