mercoledì 20 marzo 2013

PICCOLI ESTORSORI CRESCONO. PER DON CIOTTI È COLPA DELLA SCUOLA

Tre giovani studenti  di Pontassieve, ispirandosi a qualche film, ma forse anche a fatti reali, hanno cercato, per fortuna senza successo, di  trasformarsi in baby estorsori. Interpellato dal “Corriere Fiorentino”, don Luigi Ciotti, a Firenze per la marcia di “Libera”, ha individuato immediatamente i veri colpevoli: naturalmente la scuola e in generale la cultura che “ non sveglia le coscienze”.

Pontassieve non è il Bronx. Casomai è un paese che non ha più niente del “ paese di una volta” e la scuola, addirittura quella superiore, è a portata di mano e non obbliga più i ragazzi ad andare a Firenze alzandosi alle sei del mattino. Nonostante  questo,  a differenza dei loro compagni di tanti anni fa, anche la scuola di Pontassieve è tuttavia vissuta da qualcuno di questi ragazzi come un castigo.  Forse per qualcuno di loro sarebbe diverso   se avesse a portata di mano  la possibilità di dimostrare la sua bravura in qualche autentico percorso professionale. La scuola, invece, da qualche decennio – e per volontà di poco lungimiranti legislatori – ha avuto il compito di sostituirsi praticamente alla vita: innanzitutto alle famiglie, che spesso non sono in grado di gestire la trasgressiva voglia di autonomia che certi ragazzi rivendicano in anticipo e senza rispettare le “tappe” scandite dai riti e dai ritmi normali della loro crescita. E la scuola è chiamata a tappare le falle della classe politica, che non è stata in grado di pensare ad una società ove i ragazzi avessero i loro spazi e i loro ruoli anche al di fuori della scuola stessa; molto più facile, per gran parte del nostro dozzinale ceto politico, delegare alle scuole il compito di gestire il tempo libero dei bambini e dei ragazzi destinandole così ad essere una sorta di surrogato degli oratori che un tempo funzionavano, eccome, sia a Pontassieve che in altri paesi. Insomma, è come se    fosse possibile entrare nella vita quasi esclusivamente attraverso il tempo segnato dal suono della campanella.  Naturalmente quando accadono fatti come quelli riportati sabato scorso dalla stampa, non solo locale, ecco pronta la più banale, retorica, scontata e avvilente delle spiegazioni: la scuola non è stata in grado di fare la propria parte ed è nella scuola che si devono trovare le responsabilità a tutte le problematiche che attossicano, è proprio il caso di dirlo, la vita di tanti ragazzi. In questa banalità è incorso anche don Ciotti che sul “Corriere Fiorentino” si è lasciato andare alla seguente dichiarazione “In questi momenti bisogna chiederci qual è il ruolo della scuola e della cultura, una cultura che deve svegliare le coscienze”. Ecco, se don Ciotti si fosse limitato ad esecrare il comportamento dei ragazzi (avranno pur loro, insieme alle rispettive famiglie, delle responsabilità, se gli altri loro compagni, per fortuna la stragrande maggioranza, se ne guardano bene dall’andare a chiedere il pizzo ai negozianti!), avrebbe  reso un servizio migliore alla “persuasione” piuttosto che, come ha invece fatto, alla rettorica. Perché se c’è una scuola, almeno in Toscana, che rappresenta un modello per l’impegno che  profonde nella formazione civile dei ragazzi è proprio quella di Pontassieve. In particolare il collega che dirige  l’istituto da cui provenivano i tre studenti  emuli di un trito modello camorristico ( forse grazie a qualche pessimo serial televisivo) è per me e per molti altri un vero e proprio punto di riferimento per come  è attento alla crescita civile e morale dei “suoi” studenti. Anni fa è stato il primo, e forse ancora oggi l’unico, ad attuare un progetto finalizzato a recuperare, nei bar e alla stazione, i ragazzi che marinavano la scuola; ed è una persona che della scuola ha fatto una ragione di vita. Mentre don Ciotti si lasciava andare a quelle banalissime riflessioni sopra riportate, quel dirigente scolastico stava sfilando con molti dei suoi studenti nel corteo organizzato a Firenze proprio da “Libera”. Questo Paese, non solo Pontassieve naturalmente, deve molto alle persone come don Ciotti, ma anche al lavoro costante, duro e silenzioso di persone comuni e prive di notorietà, convinte che lavorare bene significa lavorare pensando anche al bene degli altri e che il bene degli altri lo si fa anche misurando le parole.  Tra questi vi è senz’altro il mio collega del Balducci.  Conoscendolo da molti anni, non gradirebbe che qui venisse fatto il suo nome, tanto poco ha a cuore la notorietà.  Certamente gradirebbe, come me, che del mondo scolastico si parlasse  evitando di ricorrere a pregiudizi e a banalità offensive  come ha fatto in questa occasione il fondatore di “Libera”.  (VV)

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