A quanto
pare il progetto di legge 953, detto “Ex Aprea”, si sta arenando sui fondali
del Senato, dopo essere stato modificato e approvato dalla Camera. Possiamo approfittarne
per discutere senza utilizzare gli slogan e gli stereotipi che abbondano su
internet e nei cortei.
Su pochi
argomenti come la gestione degli istituti scolastici l’Italia dimostra di
essere quel “Paese del pressappoco” di cui ha parlato Raffaele Simone. Mentre da anni e anni si discetta su come riformare gli organi
collegiali senza concludere nulla, il dibattito in merito si svolge
regolarmente senza tener conto di un certo numero di fatti:
1. una buona parte dei dirigenti è priva di qualsiasi cultura gestionale;
2. in ogni caso i dirigenti validi sono sopraffatti dalla molteplicità di
incombenze di ogni genere e hanno poco tempo per esercitare quel ruolo di “leader
educativi” che dovrebbe sostenere l’efficacia formativa dell’istituto;
3. leggi e regolamenti non assicurano ai dirigenti poteri sufficienti per
tutelare gli studenti da insegnanti gravemente inadeguati, anche quando abbiano
agito da autentici mascalzoni; e quando ci provano devono spendere tali e tante
energie che il più delle volte si ripromettono per il futuro di lavarsene le
mani;
4. i loro collaboratori, a cominciare dal vicario, si arrabattano
volonterosamente come possono, spesso assentandosi dalle classi più volte nella
mattinata e ricevendo in cambio un modesto aumento di stipendio;
5. non esiste, se non in casi fortunati, una qualificata “classe dirigente”
composta da docenti capaci di occuparsi proprio di quelle incombenze che l’autonomia
delle scuole presuppone: progettazione curricolare, aggiornamento, servizi alla
didattica, consulenza ai nuovi docenti,
valutazione e via dicendo;
6. è scarsissima la cultura del controllo e della verifica;
7. quanto al Consiglio d’Istituto, si fa fatica a mettere insieme il numero
minimo dei candidati e la maggior parte degli insegnanti e dei genitori si
rende disponibile, spesso dopo molte insistenze, per spirito di servizio, ma è
poco preparata e non ha neppure voglia o non viene messa in grado di
approfondire i temi trattati; di conseguenza si discute poco e male, spesso non
si raggiunge il numero legale e si rimedia segnando come presenti gli assenti
consenzienti;
8. molte segreterie lavorano ancora come vent’anni fa, non sanno usare bene
gli strumenti informatici, tanto che ancor oggi in troppe scuole la
comunicazione interna viene affidata unicamente al registro delle circolari;
9. infine, per raggiungere gli ambiziosi obbiettivi che risuonano nelle leggi
di riforma non ci sono neppure i soldi, spesso insufficienti anche per
finanziare l’ordinaria amministrazione.
Di fronte a
tutto questo ai legislatori sembra sufficiente proclamare la parole d’ordine
“più autonomia”, la cui efficacia è chiaramente diventata una credenza
indipendente dai fatti, cioè dalle concrete possibilità di realizzarsi.
Fatta questa
premessa, utile a prevenire l’illusione che questa o quella legge (Aprea o non
Aprea) produca risultati positivi senza che si siano risolti questi grossi problemi,
restano pur sempre da sventare numerosi e gravi pericoli. Cercando però di
individuare quelli veri e non quelli immaginari, tra i quali la gettonatissima “privatizzazione”
della scuola.
Per
cominciare a discutere, chi ne ha voglia può leggere o rileggere:
- il testo
del disegno di legge approdato al Senato;
- il parere di
Rino Di Meglio della Gilda degli
Insegnanti, centrato sull’autoreferenzialità delle scuole;
- il parere
di Francesco Greco dell’Associazione Nazionale Docenti, preoccupato per l'avvento del dirigente-autocrate;
- tre nostre
note del 2009 a proposito del governo della scuola:
Insegnanti e genitori, Dal volontarismo alla competenza, Organismi studenteschi.
Due raccomandazioni:
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