
Ora lasciamo stare il fatto che quasi tutti gli insegnanti- al contrario di quanto si pensa e con pochissime eccezioni- sono oggi ferrati come i loro studenti nell’uso del computer e dei suoi linguaggi e, quando davvero servono, li usano anche in sede didattica. Lasciamo stare che i tagli alla scuola permettono un uso molto limitato nell’istruzione pubblica del mezzo elettronico, compresa la decantata (e secondo me- si badi bene- utilissima) lavagna interattiva.
Il punto non è questo. Il punto è che Dante o Leopardi, che siano letti su un tablet o su un libro, che siano presentati con PowerPoint o con una lezione tradizionale, per essere assimilati e digeriti (fatti propri) da un ragazzo - di oggi come di ieri - hanno bisogno della sensibilità, del talento e della preparazione dell’insegnante, così come della disponibilità e della fatica dello studente; la fatica di imparare l’italiano letterario, di ragionare sulla forma e sul contenuto di un testo, di confrontarlo con altri testi dello stesso autore, eccetera. Insomma la brillantezza e la potenza tecnologica del mezzo non può eliminare la fatica e il conseguente – possibile- gratificante piacere dell’apprendimento inteso come sistematica, critica e approfondita assimilazione di concetti e di metodi. Un apprendimento che la babele caotica, incontrollabile e puramente informativa del web non può né dare né sopperire. Anzi, per lo più, il web rema in direzione contraria: quella della destrutturazione e della frantumazione del sapere in frammenti dispersi nella rete come i relitti di una nave sulla superficie del mare.
Perciò la tecnologia digitale oggi rimane certo un formidabile strumento informativo e comunicativo, ma non può risolvere affatto il problema educativo proponendosi come alternativa epistemologica. Anzi, lo complica e lo ostacola non poco.
Paolo Mazzocchini