domenica 15 aprile 2012

STUDENTI O CLIENTI?

Riceviamo dal professor Dei, autore del libro Ragazzi si copia, una riflessione della collega Marcella Bellini, docente di italiano e latino nel Liceo scientifico Vito Volterra di Ciampino. Tra le altre cose, l'autrice sostiene che, nei dirigenti e negli insegnanti, il facilitare,  il lasciar copiare e in qualche caso il passare il compito d'esame derivano anche dall'esigenza di tenersi stretti i "clienti".

Nel corso degli anni si è verificato un significativo cambiamento culturale e terminologico nella scuola media italiana; gli studenti sono diventati progressivamente “utenti” dell’offerta formativa, utenti che a loro volta stanno trasformandosi in “clienti” che acquistano un prodotto. Da diverso tempo assistiamo a una vera e propria “caccia al cliente” nelle scuole medie – sia inferiori che superiori – alimentata dal terrore della contrazione che, se riguarda il numero degli alunni, riguarda pericolosamente anche il numero degli insegnanti.
D’altra parte si discute di quali debbano essere gli indicatori di qualità dell’offerta formativa, per stabilire criteri che distinguano le scuole “buone” da quelle “meno buone”.
Le due questioni poste trovano un punto di convergenza e si fondono nella seguente domanda: può essere considerato indicatore di qualità di una scuola superiore il basso numero di alunni che, nei primi mesi dell’anno scolastico, chiedono il nulla osta per trasferirsi in altro istituto? Il genitore che chiede al preside di poter iscrivere il figlio in altro istituto, con la specifica ed esplicitamente dichiarata motivazione che il ragazzo studia troppo e vorrebbe ottenere valutazioni più alte, pur studiando meno – dando per scontato, ovviamente, di aver trovato una scuola in cui questo è possibile, confermando l’estrema differenziazione dell’offerta formativa della scuola media superiore – può essere definito un cliente insoddisfatto? Il prodotto che gli è stato offerto non è di suo gradimento, pertanto si rivolge altrove per ottenere maggiore gratificazione. Arrivando al caso specifico da cui sono nate queste riflessioni, può dirsi un dirigente attento alla qualità dell’insegnamento chi, per non perdere un “cliente”, avalla le richieste del genitore facendo riflettere i docenti sull’opportunità di non esercitare troppa “pressione” sugli studenti per non farli andare via? O chi reputa “disumano” il docente che richiede impegno e costanza nello studio?
Ritengo che queste situazioni paradossali si creino a causa del generale, profondo degrado in cui versa la scuola italiana. Alla continua, inesorabile e più o meno sotterranea tendenza a delegittimare il ruolo del docente e la sua funzione educativa, culturale, sociale e, perché no, morale, si affianca un’altra componente pericolosa nei trend educativi odierni. Mi sto riferendo alla miscela di iperprotettività e di permissivismo indiscriminato dei genitori nei confronti dei figli. Assisto a ogni giorno a manifestazioni plateali di incapacità di elaborare delusioni e fallimenti – di tipo scolastico, si intende – da parte degli studenti, sempre meno disposti al sacrificio e sempre meno disposti ad accettare che, per ottenere dei risultati, bisogna faticare. Il loro slogan è: raggiungere il massimo risultato con il minimo sforzo, supportati anche dagli esempi che gli si pongono dinanzi ogni giorno in quasi tutti gli ambiti dell’agire sociale. Ecco allora che i docenti e i dirigenti che non vogliono perdere alunni metteranno in atto tutte le strategie necessarie per tenerseli stretti: abbassare il livello dell’insegnamento, convincere gli insegnanti ad essere più morbidi, facilitare le verifiche, chiudere un occhio se un alunno in classe copia e, da ultimo, passare il compito di maturità, visto che con un tale curriculum didattico lo studente difficilmente sarà in grado di svolgere il compito con le proprie forze, senza “aiutini” esterni.
Temo purtroppo che una scuola che educa ancora al lavoro, all’impegno e alla determinazione nel tendere a un obiettivo sia una scuola obsoleta e anacronistica e, nel migliore dei casi, giudicata “bacchettona”. Quello che conta è la soddisfazione del cliente: se un prodotto costa troppo egli si rivolgerà altrove, dove ciò che cerca sarà svenduto a saldo nei nuovi discount della cultura.
Marcella Bellini - Docente di Italiano e Latino - Liceo scientifico Vito Volterra Ciampino - Roma