giovedì 21 febbraio 2013

LE "SCUOLE 2.0". INFATUAZIONI MODERNISTE E TENTAZIONI GIACOBINE

Spazi aperti e “riconfigurabili”, pareti scorrevoli, tavoli componibili invece dei banchi, pouf, tappeti, “atelier”, “agorà” per feste, spettacoli e assemblee, spazi relax. E naturalmente via le cattedre e, invece dei corridoi, ecco le “aree connettive”. Non è un numero di "Architectural Digest", sono le Linee guida per la costruzione dei nuovi edifici scolastici varate dal Ministero della Pubblica Istruzione e illustrate su “La Repubblica” di oggi. Date le priorità che il buon senso suggerirebbe per la scuola italiana, viene in mente la famosa risposta delle brioches che Maria Antonietta non ha mai dato.
Le “scuole 2.0” sono copiate dai paesi nordici, dove, tra parentesi, prevalgono scolaresche educate, in grado di consentire il lavoro a chi si trova nell’“area riconfigurata” accanto. E tutt’altro che da trascurare è l’esigenza che hanno i ragazzi, e soprattutto i bambini, di uno spazio ben definito che possano sentire come proprio (ovviamente luminoso, ampio, pulito e ben attrezzato).
Dietro l’infatuazione modernista per le architetture scandinave è difficile non vedere la determinazione giacobina con cui si tenta di imporre ai docenti italiani il ruolo di facilitatori dell’auto-apprendimento. Per ottenere la rinuncia alla famigerata “lezione frontale” (peraltro ampiamente usata dai suoi detrattori per screditarla) si vorrebbero organizzare gli spazi in modo da renderla quasi impossibile. Tutti, però, abbiamo assistito a lezioni noiose e a lezioni affascinanti. E un insegnante che si veda imporre, direttamente o indirettamente, metodi in cui non si trova a proprio agio, non può che trovarsi in  difficoltà e demotivarsi. C’è invece bisogno della più ampia libertà di utilizzare il metodo che funziona per quell’argomento, per quei ragazzi, in quel momento. E un ministero degno di questo nome, cioè al servizio della scuola, dovrebbe aiutare gli insegnanti a mettere insieme e ad aggiornare di continuo una “cassetta degli attrezzi” la più varia possibile, in modo da saper affrontare con efficacia situazioni e argomenti diversi. Ciò di cui è difficile fare a meno senza danno è la figura di un insegnante che padroneggi e ami la sua materia, che abbia la capacità di trasmetterla coinvolgendo e interessando i suoi studenti; con i mezzi più diversi, certo, ma non delegando a internet il suo ruolo.
A questo proposito, vorrei concludere con quello che Rosario Salamone, per diversi anni preside nelle scuole di Roma, mi raccontava qualche giorno fa. Quando, da giovane docente di filosofia, insegnava al Liceo Tasso, la fama delle sue “lezioni frontali” si sparse per la scuola, tanto che vi assistevano spesso una quarantina di studenti trasmigrati da altre classi (fino a quando gli altri docenti non si spazientirono). Avrebbe sortito lo stesso effetto aggirandosi fra i tavoli e consigliando questo o quel sito? (Giorgio Ragazzini)
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