domenica 19 agosto 2012

FAR LEZIONE IN TRE TEMPI di Roberto Casati


Da una dozzina d'anni a questa parte uso modicamente le nuove tecnologie per organizzare
parte del mio insegnamento (livello master universitario, corsi di filosofia per studenti di provenienze accademiche svariate). Non parlo soltanto di presentazioni su schermo o di scambi di email, ma dell'organizzazione dei corsi. Per esempio, gli studenti devono leggere ogni settimana un articolo difficiletto e inviare un commento/domanda il giorno prima della lezione a un blog su cui possono anche leggere le domande dei loro colleghi. A lezione passo una parte del tempo a discutere di questi interventi prima di fare una presentazione più formale. La mia lezione cambia in funzione delle domande ricevute. Le domande sono usate per una valutazione continua.
Questa modalità mi permette varie cose: ridimensionare il macigno della lezione frontale, far emergere le voci dei timidi, spezzettare la valutazione, tenere sotto controllo il livello di assorbimento, valorizzare il contributo degli studenti. La soddisfazione è reciproca. Non è male arrivare in classe e trovarsi di fronte studenti che sanno già di che cosa si parlerà, e avendo già localizzato i punti deboli grazie alle domande; si progredisce rapidamente. Alla fine della "lezione" gli studenti hanno fatto ben quattro passaggi per i contenuti: hanno letto, hanno scritto, hanno discusso, e mi hanno sentito esporre. Se dovessi dire perché la cosa funziona citerei soprattutto il design complessivo della situazione, che è estremamente strutturata dal punto di vista dei tempi e dei ruoli di ciascuno. Ha richiesto un vero e proprio progetto.
Il mio è un corso di materie umanistiche. il rapporto con il testo, la discussione e l'espressione scritta sono fondamentali, la tecnologia un semplice blog, riciclato ai miei fini mi permette di saldare questi elementi in un sistema fluido. Non è affatto detto che questo sistema sia esportabile ad altre materie. In un corso di astronomia ha senso presentare direttamente i contenuti con supporti multimediali e modellizzazioni; per esempio usando un "osservatorio virtuale" come Celestia o Stellarìum; non ha senso fare domande su articoli assegnati, e serve invece fare esercizi e autoverifiche. In un corso di statistica può essere utile avere un sistema di voto elettronico immediato per capire le proprietà delle distribuzioni. E via dicendo.
Questo per dire, uno, che non sembra esserci una soluzione "Unica" all'introduzione delle nuove tecnologie nella scuola; due, che comunque si deve lavorare molto al design della situazione di apprendimento in ogni caso singolo. Qui il ruolo dell'insegnante è veramente fondamentale.
Lo studio realizzato dal Censis sui cosiddetti "nativi digitali" a scuola, basato su un questionario che ha interessato duemila studenti e quasi altrettante famiglie in Calabria, presentato a luglio alla Camera dei deputati, da un quadro molto interessante della percezione delle tecnologie da parte di studenti, docenti e genitori. Ora, il dato sulla percezione è sicuramente importante, ma dubito che sia sufficiente. È peraltro molto difficile, mi pare, ottenere dei dati empirici stabili sull'efficacia didattica delle nuove tecnologie, più che sulla loro ricezione (servirebbero degli studi di coorte, non mi risultano per il momento, e per di più il contesto tecnologico è in rapidissima mutazione e la metodologia di ricerca non facile). Ma già così i risultati richiamano qualche commento. Che gli studenti considerino in parte la scuola come "inadeguata" perché l'offerta digitale è modesta, incompetente od obsoleta, mi sembra un elemento da ponderare con grandissima attenzione, e non da accettare come un punto dì partenza irremovibile. Anche perché è fin troppo facile sostituire il dato tecnologico a quello educativo. Pare che oggi non interessi nemmeno più sapere in che modo portare internet o il computer o la lavagna elettronica a scuola migliori la didattica; interessa soltanto sapere se vi sia internet a scuola, o se i docenti usino facebook (con coloriture moralizzanti: «caro insegnante, hai un account facebook e non lo usi, è come se non lo avessi»).
In realtà, la scuola avrebbe tutto da guadagnare da una riflessione sulle sue immense potenzialità non digitali in un mondo digitale. Ma è un discorso lungo, temo. A medio termine, sarebbe già molto importante riflettere sulla distinzione tra "nativi digitali" e "competenti tecnologici". Si può essere digitali di nascita ma restare tutta la vita incantati da una tecnologia dì cui non si comprendono i meccanismi e che viene quindi vissuta in modo quasi magico. Aiutare a comprendere il funzionamento delle architetture informatiche, la ricerca scientifica e tecnologica, le strutture economiche e di potere dietro i prodotti di uso anche più comune (perché compare la sequenza "http://").
( Il Sole 24 ore, Domenica, 19 agosto 2012)