Pubblichiamo la bella lettera che la madre di un
allievo (Luca è un nome di fantasia) ha scritto al dirigente di un istituto professionale toscano. La
lettera costituisce un’altra inequivocabile conferma della necessità di
rivedere urgentemente il quadro orario degli attuali istituti professionali “licealizzati”,
ridando molto più spazio all’apprendimento nei laboratori e potenziando l’alternanza
scuola-lavoro e l’apprendistato.
Gentile Preside,
scrivo questa
lettera, sperando che possa porre la sua attenzione alla mia esperienza
scolastica, vissuta quest’anno con mio figlio Luca, e possa apprendere
veramente le difficoltà che vivono le famiglie e i propri figli in età
adolescenziale, quindi già molto critica di suo. Non tutti si nasce
con la predisposizione allo studio, non siamo tutti uguali, c’è anche chi è
predisposto per la pratica. Mio figlio Luca ha cominciato l’anno con molto
entusiasmo, convinto della scelta scolastica che aveva fatto. Ma con lo
scorrere dei mesi, qualcosa è cambiato, si trovava sempre più in difficoltà, troppe
materie da studiare, e di ciò che lo aveva reso più entusiasta, cioè la
pratica, c’erano pochissime ore. I mesi passavano e l’interesse si spengeva
sempre più, diventava sempre più sofferente e svogliato. Ho
cercato in tutti i modi di fargli capire che con un po' di impegno e costanza
ce l’avrebbe fatta, ma lui mi ripeteva che non ce la faceva. “Mamma quando sono
lì mi sembra che mi scoppi la testa!!” Ai primi colloqui con i professori ho
cominciato a preoccuparmi, dicevano il ragazzo studia poco. Cercavo di capire
attraverso il dialogo con lui cosa non andava, quali fossero i suoi disagi, ma
tutto era inutile, anzi la mattina partiva da casa per andare a scuola e poi
non frequentava. Il problema si ingigantiva sempre più e i pensieri anche… e
lui continuava ad ammettere il suo sbaglio, ma si giustificava dicendomi che
studiare per lui è pesante e voleva fare una scuola dove ci
fosse più pratica, ma qui questa possibilità non esiste. Il problema più grosso
è che ragazzi come mio figlio non vengono stimolati, anzi, in un età comunque
molto critica come l’adolescenza tendono a mollare, a prendere la strada più
facile perdendo così stima di se stessi. Allora io mi chiedo perché una scuola
professionale, che dovrebbe preparare a livello anche lavorativo qualificato, non
inserisca più ore di laboratorio. Magari metà delle ore potrebbero essere di
studio per le loro basi, che sono molto importanti, e metà di pratica che
li formeranno sulla loro professionalità lavorativa; solo così avrebbero un
grosso stimolo. Invece pretendiamo che frequentino perché è scuola
dell’obbligo, senza dare loro l’opportunità e il giusto stimolo alla
professione che hanno scelto di fare. Il rifiuto, o l’indifferenza, la vogliamo
noi, e così usiamo violenza psicologica senza soffermarsi ad ascoltare
le esigenze dei nostri figli, che proprio in questa fase così critica dovranno
gettare le basi del proprio futuro e nel loro piccolo hanno i loro modi di
pensare e di agire. Impariamo ad ascoltare di più le loro esigenze, magari è
un modo di stimolarli per la loro crescita. Solo attraverso l’ascolto
possiamo capire i loro disagi, solo così possiamo davvero aiutarli, altrimenti
avremo risultati peggiori, creando grossi problemi alle famiglie che non sanno
più come gestire tali situazioni. Purtroppo, non tutti si nasce con la dote
dello studio, ma non per questo non si può diventare delle grandi persone. Diamo
la possibilità di crescere anche a chi ha doti di praticità. La mia nonna
diceva: “Con la forza non si fa nemmeno l’aceto”. Io quest’anno ho lottato con
tutte le mie forze e tanto sacrificio, usando tutte le strategie possibili, con
le buone e con le cattive, per fargli capire che lo studio è una cosa
importante che è alla base del proprio futuro e senza di esso non ci sono
molte opportunità lavorative. Purtroppo funziona così, non è una scelta ma un
obbligo, ma il giusto stimolo deve arrivare anche dalla scuola, altrimenti
tutto il da fare non serve a niente, anzi si arriva al rifiuto
totale. La mattina Luca partiva per andare a scuola ma in realtà non ci andava,
ero disperata e tutte le sere era la stessa romanzina, non sapevo più come
prenderlo. Lui rimaneva sempre molto remissivo, come se mi volesse chiedere
scusa… ma era più forte di lui… Quando una sera dopo l’ennesima romanzina gli
dissi. “Ti rendi conto di sbagliare? Almeno abbi il coraggio di esprimere
quello che senti!” Lui mi espose di nuovo i suoi pensieri, dicendomi che si
rendeva conto di sbagliare nei nostri confronti, è che la scuola che aveva
scelto gli piaceva, voleva soltanto più pratica e meno studio. Quella sera
ripensai a tutto ciò che aveva detto. Ma perché devo imporre una cosa a mio
figlio, quando comunque è un ragazzo in gamba, educato, rispettoso e anche per
tanti versi responsabile. Ha solo poca voglia di studiare ma tanta di imparare,
io lo vedo in casa, mi aiuta a preparare la cena, apparecchia e poi fa
delle crepes favolose; perché devo
fargli violenza psicologica, non lo trovo giusto. Ascoltandoli possiamo
ottenere di più e con il giusto canale, che in questo caso è la scuola, potremmo
stimolare le loro potenzialità, questa è l’età giusta per incoraggiarli. Io
sono qui a scrivere questa lettera, per chiedere che le scuole professionali
diano la possibilità di crescere anche a questi ragazzi stimolandoli attraverso
la pratica, inserendo più ore di laboratorio, magari tre giorni di teoria e tre
di pratica, fin dal primo anno, anzi è proprio qui che andrebbero aiutati di
più e poi chissà. Magari, anche chi ha meno voglia prende un andamento diverso,
altrimenti sono anni persi, soldi persi e comunque disagi per le famiglie. Diamo
la possibilità a questi ragazzi di crescere e di farsi un futuro e non di
perdere due anni della loro vita. Solo così potremmo ottenere di più. Diamogli
i mezzi per accrescere le loro potenzialità anche pratiche. Ringrazio per
l’attenzione.