Il direttore del "Corriere Fiorentino" Paolo Ermini dedica l'editoriale di oggi (Diritti e Rovesci) al declino delle regole. A Firenze, ma con considerazioni valide per gran parte del nostro paese.
Oggi dedichiamo il primo piano al declino delle regole. Non ai principii di
convivenza civile, ma sulla loro quotidiana, sistematica violazione in una
città come Firenze, che pur ha una storia intessuta di maturità e
partecipazione civile. Le conquiste del passato non bastano a garantire il
presente: l'analfabetismo di ritorno, che assedia l'Italia più di altri Paesi
occidentali, non ci risparmia. E semina a piene mani la mala educazione, che
non è uno strappo alle buone maniere ma la fabbrica delle grandi e piccole
illegalità.
È una questione di diritto al rispetto reciproco, collante di ogni società
libera. In città siamo messi maluccio da questo punto di vista, ammette la
comandante dei vigili fiorentini, Antonella Manzione. Ebbene, nella diagnosi
c'è anche il possibile rimedio: se troppi fanno i furbi, c'è bisogno che
qualcuno glielo faccia capire. Magari con le buone, prima, e poi con le
cattive. Sì, servono più controlli e più controllori. E facciamola finita con
le retoriche tardosessantottine sui pericoli della città militarizzata. Qui
nessuno invoca carri armati o autoblindo, ma — semplicemente — la difesa di
tutti dalle prevaricazioni. Minimizzare è un errore, un errore molto grave. Si
parte da un divieto di sosta ignorato e, su su, si sale nella scala
dell'imbarbarimento sociale, quasi senza accorgersene. Con effetti, talora,
sconcertanti.
Negli ultimi giorni la sinistra chic che anima con le sue chiacchiere i salotti
cittadini sembra essersi accorta che il degrado ha superato il livello di
guardia. Ma per non contraddirsi, dopo aver accusato di oscurantismo chiunque
osasse obiettare sugli eccessi delle notti fiorentine, ha indirizzato i suoi
strali verso quei poveracci di barboni che abitano la zona della stazione,
prontamente allontanati da agenti delle forze dell'ordine (solo per qualche
ora, comunque, tanto per fare un po' di scena e accontentare i parvenus del decoro). Meglio esser
chiari: la povertà non è un insulto. E quando si parla di battaglia contro il
degrado noi non chiediamo severità con l'umanità più dolente, ma per i cretini
che trattano il prossimo come un intollerabile intralcio alla loro libertà e
questa nostra Firenze come un cortile da usare per bere, suonare, berciare e
pisciare. A proprio piacimento. Altro che la città della bellezza artistica e
morale di cui tanto ama parlare il sindaco (quando ancora si aggira in città).
Paolo Ermini
domenica 22 luglio 2012
sabato 21 luglio 2012
C'È VERAMENTE DEMOCRAZIA IN UNA SOCIETÀ CHE HA SOLO DIRITTI E NESSUN DOVERE?
Maurizio Viròli, docente di Teoria politica a Princeton e autore di una bella e fortunata biografia di Machiavelli per Laterza (Il sorriso di Niccolò), ha pubblicato nel 2008 L'Italia dei doveri, un volumetto sull'importanza del senso del dovere come fondamento ineliminabile dei diritti e per la tenuta di qualsiasi società che voglia essere libera e giusta.
Ne pubblichiamo due passi che riguardano esplicitamente il rapporto tra senso del dovere e educazione.
Una delle frontiere dei diritti che siamo ben lontani dall'aver conquistato è la difesa effettiva dei diritti dei bambini contro la malvagità, la perversione e la stupidità dei genitori. Ma da questo deriva che i figli non hanno doveri? La regola generale che l'individuo che ha soltanto diritti diventa un tiranno vale anche per i figli. Impossibile e impensabile fino a una o due generazioni addietro, la figura del figlio-tiranno è diventata una realtà del nostro tempo. Del tutto simile all'adulto-tiranno, il figlio-tiranno è convinto che tutto gli sia dovuto ed egli non debba nulla ad alcuno; non conosce limiti al desiderio di possedere ed è invece posseduto da un desiderio insaziabile di affermare la propria superiorità nei confronti degli altri - vedi bullismo imperante nelle scuole; la sua parola preferita è "io"; sa cogliere con impressionante abilità le debolezze dei genitori e volgerle a proprio vantaggio; ritiene che le regole valgano per gli altri ma non per lui, e si fa anzi vanto di violarle; è capace di ogni sorta di abusi e di vere e proprie crudeltà (pp. 128-29).
Ma a guardar meglio ci accorgiamo che ci sono ancora persone che si sforzano di educare dei cittadini. Molti di loro sono insegnanti, e nonostante la pervicace volontà di ministri, amministratori e genitori di distruggere la scuola, continuano, per senso del dovere, ad educare dei cittadini. Se dovessi indicare un'istituzione da dove può venire un contributo forte alla rinascita civile indicherei proprio la scuola, nonostante tutto (p. 147).
Ne pubblichiamo due passi che riguardano esplicitamente il rapporto tra senso del dovere e educazione.
Una delle frontiere dei diritti che siamo ben lontani dall'aver conquistato è la difesa effettiva dei diritti dei bambini contro la malvagità, la perversione e la stupidità dei genitori. Ma da questo deriva che i figli non hanno doveri? La regola generale che l'individuo che ha soltanto diritti diventa un tiranno vale anche per i figli. Impossibile e impensabile fino a una o due generazioni addietro, la figura del figlio-tiranno è diventata una realtà del nostro tempo. Del tutto simile all'adulto-tiranno, il figlio-tiranno è convinto che tutto gli sia dovuto ed egli non debba nulla ad alcuno; non conosce limiti al desiderio di possedere ed è invece posseduto da un desiderio insaziabile di affermare la propria superiorità nei confronti degli altri - vedi bullismo imperante nelle scuole; la sua parola preferita è "io"; sa cogliere con impressionante abilità le debolezze dei genitori e volgerle a proprio vantaggio; ritiene che le regole valgano per gli altri ma non per lui, e si fa anzi vanto di violarle; è capace di ogni sorta di abusi e di vere e proprie crudeltà (pp. 128-29).
Ma a guardar meglio ci accorgiamo che ci sono ancora persone che si sforzano di educare dei cittadini. Molti di loro sono insegnanti, e nonostante la pervicace volontà di ministri, amministratori e genitori di distruggere la scuola, continuano, per senso del dovere, ad educare dei cittadini. Se dovessi indicare un'istituzione da dove può venire un contributo forte alla rinascita civile indicherei proprio la scuola, nonostante tutto (p. 147).
mercoledì 18 luglio 2012
DRAMMATICAMENTE URGENTE UNA SVOLTA A FAVORE DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE
Ogni anno in questo periodo i giornali
tornano ad occuparsi della formazione professionale in virtù dei dati che
annualmente la CGIA di Mestre (associazione degli artigiani e delle piccole
imprese) rende pubblici e che confermano una volta di più che decine e decine
di migliaia di posti di lavoro non potranno essere coperti perché mancano
giovani preparati a farlo. Paradossalmente questa situazione caratterizza anche
un periodo contrassegnato dalla più grave crisi economica dal dopoguerra ad
oggi. Ancora una volta non ci resta che constatare come nessuno tra i
responsabili della politica scolastica, sia regionale che nazionale, esprima
una qualsiasi riflessione sull’opportunità di cambiare qualcosa nel sistema
della formazione professionale.
Sul “Corriere della sera” di lunedì 16
luglio si potevano leggere in merito ben due articoli su un problema destinato
ad aggravarsi se qualcuno non si decide a prendere decisioni rapide e lontane
dallo spirito che ha dettato a molte regioni la politica relativa alla formazione
professionale. Come ho scritto più volte, una certa pedagogia di stampo social
populista, che ha trovato salde sponde nella gran parte dei politici che a
livello locale e nazionale si sono occupati e si occupano di scuola, ha pensato
che fosse giusto estendere a tutti gli indirizzi di studio un’impronta liceale.
Secondo questa impostazione, solo con quel tipo di formazione saremo in grado
di fornire ai futuri cittadini senso critico, autonomia nelle scelte e
opportunità per rendere il loro futuro migliore rispetto a quello dei loro
padri. Chi ha sostenuto questa macroscopica sciocchezza (che corrisponde anche alle paure storiche di
certa nostra piccola borghesia, timorosa di dover tornare ad essere “gente
meccanica”) spesso si è richiamato al pensiero di don Milani, ignorando,
tuttavia, che proprio la scuola di Barbiana, salvo l’ultimissimo periodo in cui
si pensò che qualche allievo sarebbe potuto diventare maestro elementare, era
una scuola professionale e i suoi allievi venivano avvicinati alle professioni
fin da piccoli, anche perché i mestieri, l’arte che si cela dentro e dietro
essi, si imparano ben prima dei vent’anni e magari ben prima di aver fallito
altri percorsi.
Ma il danno è stato fatto ed è
purtroppo destinato a durare a lungo, perché l’aver cancellato quasi del tutto
la nostra straordinaria tradizione dei mestieri ha contribuito a consolidare
nell’opinione pubblica il concetto che i lavori artigianali e manuali sono
destinati agli sfigati, ai buoni a nulla e ai falliti. Quando si parla di
successo formativo s’intende sempre ed inequivocabilmente un successo da
conquistare dietro i banchi di scuola e non, per esempio, dietro i banchi di un
laboratorio artigianale.
La Regione toscana, al pari di altre
regioni italiane, ha deciso di far adempiere l’obbligo scolastico
esclusivamente all’interno del canale dell’istruzione, riservando solo ai
pluriripetenti che abbiano compiuto i sedici anni la possibilità frequentare
corsi professionalizzanti per allievi in situazione di drop-out, peraltro a numero
chiuso vista la scarsezza dei fondi. Ovviamente una scelta del genere
squalifica ancora di più le professioni storiche della nostra tradizione e
della nostra economia. Di per sé, a farci quasi vergognare dei lavori manuali
aveva già ampiamente contribuito il contesto storico-sociale che ci accompagna
da qualche decennio e che rapidamente ha portato gran parte delle persone a
rincorrere modelli sociali tipici dei parvenu
piuttosto che realmente ispirati alle proprie vocazioni.
Durante il recentissimo esame di
stato, avevo incaricato la segreteria del mio Istituto di inviare una lettera
ai ragazzi pluriripetenti e respinti anche agli scrutini di giugno, per
avvisarli che potevano iscriversi, appunto, ad uno dei corsi professionali
della Regione che partiranno dal prossimo settembre. In questo modo i ragazzi
in questione potrebbero acquisire una qualifica professionale e, dopo due anni,
entrare in un percorso lavorativo o, in alternativa, rientrare nel canale
dell’istruzione. Al mio rientro dall’esame, le impiegate mi hanno detto che
alcuni genitori avevano telefonato indignati, ritenendosi offesi per la lettera
che, secondo loro, certificava come la scuola ritenesse scarsamente
intelligenti i loro figli e quindi inadatti a un percorso scolastico finalizzato
al diploma quinquennale di Istituto professionale. Un percorso che, sia detto
tra noi, in parte viene scelto perché ritenuto più semplice rispetto ai tecnici
e ai licei, al fine di conseguire un diploma di scuola superiore. Non a caso,
malgrado ogni anno dagli istituti alberghieri esca un numero molto alto di
diplomati, sappiamo che moltissimi di loro, dopo il diploma, fanno scelte del
tutto diverse rispetto all’indirizzo seguito. Infatti i settori della
ristorazione e dell’ospitalità alberghiera sono tra quelli che hanno il maggior
numero di occupati stranieri e malgrado ciò i posti disponibili a livello
nazionale sono ancora decine di migliaia.
Pur essendo in linea di massima
d’accordo con chi sostiene che le disuguaglianze sociali sono ancora oggi in gran
parte responsabili delle disuguaglianze scolastiche, ci aspetteremmo nel
frattempo che dei politici veri, cioè attenti alla realtà effettuale della
storia e della società, prendessero atto della drammaticità di una situazione
che vede nelle prime e nelle seconde classi dei professionali tassi altissimi
di dispersione scolastiche. Chi ha a cuore il futuro dei ragazzi deve ad ogni
costo essere consapevole che nulla è più diseducativo dell’accanimento nei
confronti di giovani che vorrebbero altri risultati e altra formazione che non
quella che li porta ineluttabilmente alla bocciatura e alla frustrazione; una
frustrazione a cui reagiscono come possono, magari trasformando le aule in sale
giochi, angoli di giardino pubblico o in siparietti degni della peggiore
televisione (che purtroppo essi conoscono assai bene), a danno non solo di se
stessi, ma anche dei compagni e dei docenti.
L’ ultimo numero di Scuola Democratica
si apre con una interessante intervista a Francois Dubet, all’interno della
quale compaiono dei riferimenti anche alla formazione professionale. Dubet, tra
l’altro, mette in risalto, come fa anche il Corriere, la bontà del sistema
professionale tedesco rispetto a quello francese. Il primo permette a chi perde
“la partita scolastica” di “vincere la partita professionale”, mentre in
Francia “chi perde la partita scolastica, ha perso tutte le partite…”.
Esattamente come avviene nella maggior parte delle regioni italiane.
Ecco, a noi piace pensare che i
ragazzi abbiano diritto di non perdere tutte le partite e che possano sperare
di cambiare in meglio il loro futuro anche attraverso una seria formazione
professionale, talmente seria da poter garantire vere e proprie eccellenze
anche attraverso corsi di alta formazione professionale post-diploma.
Non è con l’attuale sistema ingessato
e assistenziale (ah, come piace in Italia sentirsi, piuttosto che esserlo, dei
buoni) che possiamo sperare di veder crescere il numero dei ragazzi contenti
delle proprie scelte e fiduciosi nel loro futuro. Mi sembra davvero opportuno
condividere con Dubet la consapevolezza che più “si diversificano i giochi (e
più) la gente perderà di meno e non saranno sempre gli stessi a perdere né gli
stessi a vincere”. (Valerio Vagnoli)
giovedì 5 luglio 2012
CORRETTEZZA DEGLI ESAMI, L'ADESIONE DI MASSIMO DI MENNA (UIL SCUOLA)
15 giugno 2012
Esprimo la piena condivisione, mia e della Uil Scuola, nei confronti di una iniziativa che dà valore all’impegno nello studio. Sosteniamo da sempre che la scuola deve essere accogliente, ma vogliamo anche sottolineare l’esigenza di una scuola sede di studio rigoroso. Ricerca e innovazione richiedono una solida formazione di base. La cultura è fondamentale per l’esercizio delle libertà civili, per la formazione di uno spirito critico e di ricerca, condizioni essenziali per il progresso scientifico e tecnologico.
Massimo Di Menna
Segretario generale Uil Scuola
Esprimo la piena condivisione, mia e della Uil Scuola, nei confronti di una iniziativa che dà valore all’impegno nello studio. Sosteniamo da sempre che la scuola deve essere accogliente, ma vogliamo anche sottolineare l’esigenza di una scuola sede di studio rigoroso. Ricerca e innovazione richiedono una solida formazione di base. La cultura è fondamentale per l’esercizio delle libertà civili, per la formazione di uno spirito critico e di ricerca, condizioni essenziali per il progresso scientifico e tecnologico.
Massimo Di Menna
Segretario generale Uil Scuola
mercoledì 4 luglio 2012
DA BARBIANA UN'ALTRA LETTERA: QUESTA VOLTA ALLE MAESTRE DI PONTREMOLI
“Se un operaio sbaglia il 25 per cento dei pezzi, la colpa non è dei pezzi non riusciti, ma dell’operaio che quanto meno viene sanzionato”. Questa è la conclusione di Michele Gesualdi, che presiede la Fondazione intitolata al priore di Barbiana, a proposito delle maestre di Pontremoli, responsabili della bocciatura di cinque bambini. Ci rimane difficile paragonare il lavoro delle maestre a quello di un operaio che sforna pezzi ben fatti o malriusciti. E stupisce che proprio un allievo di Don Milani non capisca quanto è offensivo per i bambini questo paragone e quanto estraneo alla complessità di una relazione educativa. Ma quello che stona di più, in questa dichiarazione perentoria, è l’assoluta mancanza di qualsiasi sforzo finalizzato a capire le motivazioni di una scelta che può essere vissuta e interpretata come dolorosa, ma che può anche diventare un’occasione per non trascinarsi dietro importanti carenze di base.
Ma l’indignazione degli eredi di Don Milani (almeno del gruppo che ha la sua sede nella canonica di Barbiana), va oltre. Essi, a conclusione di un convegno che celebrava i 45 anni dalla scomparsa del priore, hanno deciso di inviare una lettera alle maestre firmata Gianni, a significare che i loro allievi bocciati saranno destinati per colpa loro a diventare dei “vinti”, come quel Gianni che ispirò la famosa Lettera a una professoressa.
E come allora torna utile individuare un nemico per dare forza alle proprie asserzioni. Stavolta sono le maestre di Pontremoli, decenni fa lo fu una professoressa delle magistrali. Sul Monte Giovi il tempo sembra essersi fermato. All’analisi pacata e civile si sostituisce la crociata, perché il nemico dà un significato alla nostra resistenza nella canonica-fortezza di Barbiana. Ma a volte ci si difende anche da se stessi, cioè da una possibile rielaborazione del mito fondativo e quindi dalla possibilità di diventare qualcos’altro e qualcosa di nuovo rispetto all’esperienza di tanti decenni fa.
Infine un invito ai “ragazzi” di Don Milani. Per testimonianze ricevute direttamente da alcuni conoscenti e amici, per quello che si legge o si percepisce dalla lettura di molte pagine sull’esperienza della scuola di Barbiana, risulta evidente che moltissimi ragazzi e bambini abbandonarono la scuola del priore. Ci piacerebbe che qualcuno si occupasse di questo aspetto, non marginale per una scuola che si celebrava e si celebra come modello di scuola che non perde nessuno. Da parte nostra una riflessione molto banale e semplice ci sentiamo di farla. La scuola, il lavoro degli insegnanti, di quelli veri naturalmente, e in particolare la fatica delle maestre, non porta sempre ad ottenere quello che si auspica. Quando ciò non avviene è opportuno cercare di capire perché sia accaduto. Le lettere di accusa, le campagne di denigrazione, i j’accuse lasciamoli al passato. Oggi ci dovremmo muovere con attenzione costante alla verità dei fatti e con rispetto nei confronti delle persone coinvolte. Possiamo far valere anche nella scuola la presunzione di innocenza fino a prova contraria? (VV)
Leggi l'articolo su "Avvenire".
Ma l’indignazione degli eredi di Don Milani (almeno del gruppo che ha la sua sede nella canonica di Barbiana), va oltre. Essi, a conclusione di un convegno che celebrava i 45 anni dalla scomparsa del priore, hanno deciso di inviare una lettera alle maestre firmata Gianni, a significare che i loro allievi bocciati saranno destinati per colpa loro a diventare dei “vinti”, come quel Gianni che ispirò la famosa Lettera a una professoressa.
E come allora torna utile individuare un nemico per dare forza alle proprie asserzioni. Stavolta sono le maestre di Pontremoli, decenni fa lo fu una professoressa delle magistrali. Sul Monte Giovi il tempo sembra essersi fermato. All’analisi pacata e civile si sostituisce la crociata, perché il nemico dà un significato alla nostra resistenza nella canonica-fortezza di Barbiana. Ma a volte ci si difende anche da se stessi, cioè da una possibile rielaborazione del mito fondativo e quindi dalla possibilità di diventare qualcos’altro e qualcosa di nuovo rispetto all’esperienza di tanti decenni fa.
Infine un invito ai “ragazzi” di Don Milani. Per testimonianze ricevute direttamente da alcuni conoscenti e amici, per quello che si legge o si percepisce dalla lettura di molte pagine sull’esperienza della scuola di Barbiana, risulta evidente che moltissimi ragazzi e bambini abbandonarono la scuola del priore. Ci piacerebbe che qualcuno si occupasse di questo aspetto, non marginale per una scuola che si celebrava e si celebra come modello di scuola che non perde nessuno. Da parte nostra una riflessione molto banale e semplice ci sentiamo di farla. La scuola, il lavoro degli insegnanti, di quelli veri naturalmente, e in particolare la fatica delle maestre, non porta sempre ad ottenere quello che si auspica. Quando ciò non avviene è opportuno cercare di capire perché sia accaduto. Le lettere di accusa, le campagne di denigrazione, i j’accuse lasciamoli al passato. Oggi ci dovremmo muovere con attenzione costante alla verità dei fatti e con rispetto nei confronti delle persone coinvolte. Possiamo far valere anche nella scuola la presunzione di innocenza fino a prova contraria? (VV)
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