venerdì 18 febbraio 2011

COPIARE È COLPA GRAVE (IN GERMANIA)

di Giovanni Belardelli

Certamente nel caso di plagio di cui è accusato il ministro zu Guttenberg — che, si sostiene, avrebbe copiato di sana pianta una parte della sua tesi di dottorato — a colpire è il fatto che esso riguardi uno dei politici tedeschi di maggiore successo presso l'opinione pubblica. Ma l'episodio, almeno osservato dall'Italia, colpisce forse ancora di più per l'enorme risalto che alla vicenda sta dedicando la stampa tedesca, la quale ritiene l'aver copiato (cioè, a chiamare le cose col loro nome, il furto delle idee e del lavoro intellettuale altrui) una colpa grave.
Un analogo rilievo sarebbe difficilmente immaginabile nel nostro Paese, dove episodi del genere non hanno mai innescato uno scandalo paragonabile a quello in cui si trova coinvolto il ministro della Difesa tedesco. Questo perché, come sappiamo tutti, in Italia è abbastanza diffusa l'idea che copiare sia in fondo una colpa lieve, che anzi per molti si configura come un comportamento lecito. Secondo la gerarchia dei valori e dei disvalori che abita nel profondo la nostra cultura, copiare rappresenta tutt'al più un peccato veniale, che dunque non occorre riceva l'unica vera sanzione che può indirizzare i comportamenti di una collettività, la disapprovazione sociale. Solo in Italia, credo, è potuto accadere che nel giugno scorso, alla vigilia delle prove di maturità, il Tg1 trasmettesse un ammiccante servizio su tutte le tecniche disponibili per copiare. Solo nel nostro Paese è potuto accadere che l'Invalsi, l'organismo che si occupa delle prove di valutazione nelle scuole, un paio d'anni fa si sia trovato costretto a denunciare il fatto che non pochi insegnanti lasciano tranquillamente copiare i loro alunni durante le prove. Appropriarsi del libro di qualcun altro, dunque il plagio in senso stretto del quale è accusato il ministro tedesco, è cosa evidentemente più grave del copiare a scuola per ottenere in modo scorretto un voto che non si merita. Ma anche quando nel nostro Paese un episodio di plagio viene reso noto, suscita in genere le reazioni timide e impacciate di chi anzitutto dovrebbe esprimere una censura, i colleghi dello stesso campo di studi. Stando così le cose, essendo questo il sentire comune o comunque largamente esteso, ho la sensazione che l'Italia di oggi sia uno dei massimi centri della copiatura per quel che attiene alle tesi di laurea: lavoro complesso e impegnativo se fatto seriamente e da soli; facile, anzi facilissimo, se ci si rivolge a centri e istituti appositi oppure, senza neanche sborsare un euro, a quell'immenso serbatoio di testi e tesi altrui che è rappresentato da Internet. Ma c'è forse un'ulteriore questione che ciò che sta avvenendo in Germania solleva, se visto dall'Italia. Almeno a prima vista, il fatto che nel nostro Paese i casi di plagio ricevano una scarsa attenzione sembra contraddire quella esigenza di moralizzazione, quel bisogno di comportamenti eticamente più adeguati che, con alterne vicende, anima l'opinione pubblica italiana da vent'anni in qua, dai tempi almeno di Tangentopoli. Perché, in sostanza, ci scandalizziamo di fronte ai casi di corruzione politica o a comportamenti come quelli, privati ma censurabilissimi, del presidente del Consiglio, e nessuno si scandalizzerebbe davvero — temo — per un ministro che ha copiato la sua tesi di dottorato? Credo che questo abbia a che fare con l'idea che l'esigenza di moralizzazione riscalda veramente i cuori, mobilita i sentimenti dell'opinione pubblica italiana o d'una sua ampia parte solo se diventa movimento collettivo, disegno politico o parapolitico di «pulizia etica» (per riprendere un'espressione usata da Ostellino su questo giornale). Come se, intendo dire, l'etica abbia bisogno di individuare un nemico e insieme una dimensione politica di massa. Rimaniamo invece un po' tutti poco sensibili a un'etica intesa anzitutto come responsabilità individuale delle proprie azioni private (qual è quella che appunto coinvolge il copiare o meno), in cui non ci sono vantaggi o obiettivi politici da perseguire, in cui il vero nemico è semmai la parte buia e oscura, la tentazione del male, che si nasconde in ognuno di noi.

(Dal "Corriere della Sera" di venerdì 18 febbraio 2011)