martedì 23 marzo 2010

RIFLESSIONI SULLA LETTERA APERTA DEI 61 DIRIGENTI SCOLASTICI DELLA TOSCANA

Nei giorni scorsi un gruppo di 61 dirigenti scolastici della Toscana ha espresso, attraverso una “lettera aperta”, una proposta ai partiti ed ai candidati alle prossime elezioni regionali. Questa invita la prossima Amministrazione Regionale, in accordo con le Province, ad avviare in un “consistente numero di istituti professionali” la “sperimentazione di percorsi triennali di formazione professionale a cui si possa accedere dopo l’esame di terza media”.

La proposta nasce da considerazioni importanti e, indubbiamente, corrispondenti alla verità:
1. la difficoltà di una rilevante quantità di studenti ad adattarsi alle regole ed ai metodi di insegnamento/apprendimento della attuale scuola superiore, anche se “professionale”;
2. la conseguente difficile governabilità di alcune classi prime (ma anche, talora, seconde) degli Istituti Professionali con relativo “burn out” dei docenti;
3. l’altissima percentuale (oltre il 30%) di “non promozioni” nelle prime classi degli istituti superiori (ed in particolare degli Istituti Professionali) che produce un rilevante tasso di dispersione scolastica e un conseguente abbandono degli studi;

Pur condividendo questi punti di partenza riteniamo che la proposta fatta sia discutibile:
-> Essa parte dal presupposto che a 14 anni, in alternativa alla scuola, ci sia una “strada più confacente ai propri talenti”, mentre noi riteniamo che a quell’età difficilmente possano essere fatte scelte, che rischiano, in quanto eccessivamente precoci, di essere determinanti e preclusive rispetto a ciò che potrebbe essere individuato in età più adulta e consapevole
-> L’alternativa suggerita, ossia la formazione professionale fatta a Trento e Bolzano, ha una ragion d’essere se non è in parallelo con l’istruzione professionale, in caso contrario rischia di essere solo un contenitore funzionante da ricettacolo per coloro che, per motivi vari (dalle capacità alle motivazioni), scelgono volontariamente o meno, di lasciare il percorso scolastico.
Proprio per evitare questo pericolo, infatti, le Province di Trento e Bolzano hanno contemporaneamente provveduto alla chiusura degli istituti professionali di Stato e investito notevoli risorse (i docenti hanno una retribuzione maggiorata di circa il 30%) sulla qualità e la metodologia dell’insegnamento.
Sempre in questo ambito, visto che nella “lettera” si citano “esperienze di alto livello in Italia e in Europa” vale la pena di ricordare il caso della Germania (dove è in vigore un sistema scolastico simile a quello auspicato per l’Italia: un “gymnasium”, corrispondente al liceo, una “realschule” ed una “gesamtschule”, corrispondenti ai tecnici e professionali, e una “hauptschule”, ossia l’istruzione professionale. l’UNESCO, dopo i pessimi risultati tedeschi rilevati da PISA 2004, ha ingiunto alla Germania di rimediare al basso livello della “hauptschule” considerata un vero e proprio “ghetto per immigrati” (dalla relazione di Patroncini al Forum nazionale su scuola secondaria superiore: istruzione tecnica, istruzione professionale, Piacenza 11.01.2008).

Ma la nostra riflessione non tende a mettere la testa sotto la sabbia e fingere che i problemi citati nei tre punti iniziali non esistano, sappiamo bene che ci sono e che sono seri, perciò… come intervenire in modo incisivo?
Ritenendo che l’uscita dal percorso scolastico possa solo acuire i fenomeni di emarginazione, pensiamo ad una scuola qualitativamente diversa per gli studenti meno motivati verso gli studi basati sull’astrazione dei concetti. Pensiamo che la proposta vera sia puntare sulla metodologia dell’insegnamento, cosa che viene individuata anche nel recente decreto di riordino dell’Istruzione Professionale; in esso infatti si dice che i percorsi degli istituti professionali (art.5, punto 2, comma d) “si sviluppano soprattutto attraverso metodologie basate su : la didattica di laboratorio, anche per valorizzare stili di apprendimento induttivi; l'orientamento progressivo, l'analisi e la soluzione dei problemi relativi al settore produttivo di riferimento; il lavoro cooperativo per progetti; la personalizzazione dei prodotti e dei servizi attraverso l'uso delle tecnologie e del pensiero creativo; la gestione di processi in contesti organizzati e l'alternanza scuola lavoro”. Questo necessariamente deve prevedere un incremento dell’attività laboratoriale nel biennio dei professionali con anche, se non dei veri e propri stage, la possibilità di progetti guidati per attività nell’ambito lavorativo.
Si tratta quindi di intraprendere con coerenza, impegnando le risorse necessarie, la strada dell’innovazione didattica necessaria ad assicurare il maggior livello di apprendimento possibile ai giovani meno motivati allo studio, a quelli appartenenti agli strati sociali più marginali, agli studenti immigrati.

Certo la scuola non può essere sola a sostenere questo impegno, il cambiamento delle metodologie didattiche è un processo lungo e laborioso che non può essere fatto artigianalmente dalla singola istituzione scolastica o essere relegato a sperimentazioni sempre a rischio di adeguato finanziamento; deve essere frutto di una precisa volontà istituzionale e, gradualmente, portato a sistema.

Massimo Batoni - dirigente scolastico IIS “Leonardo da Vinci”, Firenze
Giacomo D’Agostino - dirigente scolastico IIS “F.Enriques”, Castelfiorentino
Daniela Borghesi - dirigente scolastico Liceo Scientifico “Il Pontormo”, Empoli
Doriano Bizzarri - dirigente scolastico dell’IC “Montagnola-Gramsci”, Firenze
Saverio Craparo - dirigente scolastico Istituto Professionale “Sassetti”, Firenze
Luciano Rutigliano - dirigente scolastico Istituto Professionale Alberghiero “Saffi”, Firenze
Laura Chirici - dirigente scolastico Scuola Media “Pascetti”, Sesto Fiorentino
Federico Marucelli - dirigente scolastico IC “Terzo comprensivo”, Scandicci