martedì 6 maggio 2014

L’AGGIORNAMENTO: DIRITTO O DOVERE? UN DILEMMA DA SUPERARE RESTITUENDO AI DOCENTI LA DIGNITÀ DI PROFESSIONISTI

Se tu hai una mela e io ho una mela e ce le scambiamo,
tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno.
Ma se tu hai un'idea e io ho un'idea e ce le scambiamo,
allora abbiamo entrambi due idee. 
(George Bernard Shaw)
Il numero 513 di “TuttoscuolaFOCUS” torna sull’obbligo di aggiornamento, che come diritto-dovere esiste sulla carta già da tempo, ma che di recente è stato ribadito come vero e proprio obbligo, almeno relativamente a situazioni particolari, nel decreto legge 104/13, detto “L’istruzione riparte” dall’ex ministro Carrozza e poi confermato nonostante le obbiezioni di parte sindacale. “Tuttoscuola” ritiene però che “nel DNA professionale dei docenti italiani” sia difficile da sradicare l’idea che l’aggiornamento sia un diritto e basta, che poi nei fatti è diventato “il diritto contrattuale di non aggiornarsi”. A conferma, la rivista porta un recente episodio. “La Regione Lazio propone ad una ventina di scuole della capitale un breve ciclo di lezioni tecnico-didattiche sull’uso delle LIM, le lavagne interattive multimediali. Mette a disposizione fior di esperti. Le lezioni sono riservate ad un paio di docenti per scuola, per un massimo di una cinquantina di docenti. Su 50 docenti attesi erano presenti in 5. Lezioni molto ben condotte per un’aula quasi vuota. Che peccato, che spreco”. 
Proprio questo esempio, però, è altamente dimostrativo di quanto poco si cerchi di comprendere questa resistenza. A nessuno infatti è venuto ancora in mente che si dovrebbero interpellare gli stessi insegnanti in merito agli argomenti su cui sentono il bisogno di aggiornarsi, invece di continuare a proporre argomenti che non sono per forza in cima alla lista dei loro interessi. Tutti abbiamo avuto esperienza di corsi inutili e magari anche noiosi; e nel caso specifico, poi, può aver pesato il fatto che di lavagne interattive spesso non ce n'è che una in tutto l'istituto, non esattamente la condizione ideale per motivare i docenti. Ma soprattutto c’è un fondamentale problema di metodo: più volte su questo blog, e da ultimo nel nostro dossier Una grande riforma a portata di mano, abbiamo fatto presente che negli ultimi decenni ci si è sistematicamente rivolti agli insegnanti italiani soltanto come a oggetti passivi di aggiornamento sulle varie mode pedagogiche e didattiche (quelle che tra l’altro hanno inferto colpi durissimi alla scuola italiana), così contribuendo pesantemente a demotivarli. Se è logico considerare la formazione continua un dovere primario di ogni professionista, dovrebbe esserlo altrettanto considerare ogni professionista – docenti inclusi – anche come depositario di competenze e di esperienze potenzialmente utili ai propri pari. Eppure la pratica del lavoro seminariale, tipico delle professioni e della ricerca, è praticamente assente nella scuola italiana, specialmente in quella secondaria. In altre parole, gli insegnanti non vengono considerati, né in genere considerano sé stessi, esperti di didattica della propria materia, mentre vengono presentati come veri esperti una serie di personaggi, che, con le dovute eccezioni, hanno idee molto approssimative su che cosa succeda veramente in una classe. Mettersi intorno a un tavolo e scambiarsi ordinatamente idee e esperienze su un tema di comune interesse (cioè non calato dall’alto) produce invece una serie di effetti positivi. Il primo è quello di rendere possibile la circolazione di un ricco insieme di idee e di esperienze, che, attraverso il confronto e la discussione, contribuiscono alla crescita professionale dei docenti molto più di tante conferenze. A sua volta questo arricchimento reciproco è fortemente motivante per i partecipanti, proprio perché viene data per scontata la loro competenza professionale e la possibilità di essere utili ai colleghi. Inoltre, con il susseguirsi di queste esperienze, si costruisce un gratificante senso di appartenenza a una comunità professionale, all’interno della quale ci si sente sostenuti e potenziati. Infine, attraverso il libero confronto fra diversi approcci agli stessi problemi, si può comprendere in concreto quanto sia importante e feconda la più ampia libertà metodologica e quanto sia necessario difenderla dai ciclici tentativi di imporre un’ortodossia didattica. Naturalmente non si vuole qui invitare all’assoluta autoreferenzialità: non è affatto escluso, infatti, che si senta la necessità di interpellare su qualche argomento un (vero) esperto esterno alla scuola.
Quanto al dilemma diritto-dovere da cui siamo partiti, non è pensabile che, di fronte alla crescente difficoltà del mestiere di insegnante, i docenti in maggioranza non sentano l’esigenza – e magari l’urgenza – di una crescita professionale. È molto probabile che la disponibilità o meno all’aggiornamento dipenda in gran parte dalla percezione della sua effettiva utilità e che le resistenze siano destinate a venire meno nel momento in cui gli insegnanti siano messi in grado di sceglierne i contenuti in base alle proprie esigenze e di esserne protagonisti attivi e non più solo passivi. E il metodo seminariale, come mi conferma l’esperienza personale, possiede per l’appunto queste essenziali caratteristiche. (GR)