lunedì 18 novembre 2013

TOSCANA: IL RISCATTO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE

È  molto apprezzabile che la Regione e l’USR, di fronte all’alto numero di bocciati e di abbandoni nelle prime classi degli istituti professionali, malgrado il percorso integrato,  abbiano deciso di sperimentare un nuovo modello, anche se non in più di dieci classi degli istituti alberghieri toscani. Purtroppo, questa loro disponibilità non ha per ora incontrato quella di altre scuole e di altri dirigenti scolastici. Così le classi che sperimentano questo nuovo percorso sono quelle di due soli  istituti professionali:  il Vasari di Figline con una   e il Saffi con due.
Il nostro percorso complementare è ispirato a quello  già da tempo avviato in alcune scuole del Veneto, tuttavia con  qualche importante variante, almeno sul piano della strategia didattica. La più significativa di queste consiste senz’altro nell’offrire ai ragazzi l’opportunità di potersi misurare, soprattutto in prima e seconda, con un maggior numero di ore dedicate alle discipline tecnico-pratiche, sottratte a materie come italiano e matematica, eliminando  fisica e chimica a vantaggio delle discipline centrate sull’esperienza pratica. In terza, gli studenti potranno recuperare le competenze di base quando avranno saputo trovare le giuste motivazioni e gli opportuni  equilibri cognitivi per poter finalmente comprendere e utilizzare in modo consapevole e appropriato  i contenuti fondamentali di materie come lettere e matematica. E sempre in terza, saranno attivati corsi aggiuntivi per   far acquisire le altre competenze di base in fisica e chimica, non studiate in prima e seconda, per chi desidera rientrare l’anno successivo, in quarta, nel percorso dell’istruzione. 
   Tale recupero avverrà diminuendo   le ore delle  discipline tecnico-pratiche, che rimangono tuttavia numerose e già privilegiate in prima e seconda classe,  e  corroborate, sempre in terza, dalle attività di stage.
  Il percorso complementare, inoltre, potrebbe permettere  a quegli studenti del corso tradizionale, che nei primi mesi di scuola si trovino a vivere situazioni di demotivazione per non aver  trovato quello che si aspettavano, di poter passare al percorso maggiormente professionalizzante. Tuttavia, a conferma di quanto in didattica non vi debbano essere asserzioni categoriche e definitive o presunzioni di aver trovato formule risolutive, mi preme informarvi che in queste settimane ho negato ai due studenti  ripetenti e iscritti al percorso statale che me l’avevano chiesto, la possibilità di trasferirsi nel complementare. Infatti ho pensato che si debba evitare che il nuovo modello possa apparire  come una scorciatoia e una sorta di refugium peccatorum, perché tutti i percorsi formativi devono avere pari dignità,  anche se un po’ tutti, in questi decenni,  abbiamo  contribuito a trasmettere l’idea completamente opposta, e cioè che al vertice del nostro sistema formativo vi siano i licei e poi a scendere i tecnici, i professionali e infine la formazione professionale.
 Ai due ragazzi ho chiesto d’impegnarsi per essere promossi e l’anno prossimo potranno così accedere   al complementare.
 Ad oggi una delle due mie classi prime dimostra, in buona sostanza, i problemi canonici dei professionali: e cioè una buona parte dei ragazzi si caratterizza per una scarsa scolarizzazione, nel senso di mancanza del necessario adattamento ai requisiti di atteggiamento e di metodo che la scuola richiede.  La stessa situazione di questa mia classe si riflette in quella di Figline Valdarno come mi ha fatto presente il collega Marchetti col quale ci confrontiamo frequentemente anche su questo percorso.
Tuttavia, per entrambe le classi non sussistono grossi problemi disciplinari  che sono invece  tipici delle altre. Tanto per fare un esempio, se nelle prime “statali” chiamiamole così,  i  provvedimenti disciplinari sono all’ordine del giorno, queste nostre due prime,  pur essendo composte da ragazzi da scolarizzare, come sopra abbiamo visto, tuttavia forse proprio in virtù del maggior numero di ore in laboratorio, quindi di una loro maggior soddisfazione personale, riescono a mantenere un comportamento decisamente gestibile.
Se l’esiguo numero delle classi non ci autorizza ad esprimere giudizi definitivi ( non  a caso non approfondisco la realtà dell’altra prima in assoluto la migliore tra le tredici), tuttavia questi elementi devono incoraggiarci ad andare avanti e magari  a potenziare questa sperimentazione  aumentando ulteriormente le ore di laboratorio in prima e in seconda e anche aumentando, se le scuole lo chiederanno, il numero delle classi.   
A mio parere sarebbe davvero opportuno che la Regione Toscana continuasse a scommettere, anche per altri indirizzi, sul modello complementare, magari snellendone l’apparato gestionale, e  credo sia un danno profondo  aprire ai ragazzi  la strada della formazione professionale solo a 16 anni e sempre dopo che questi hanno ripetutamente fallito il percorso dell’istruzione. Un sistema del genere    finisce col trasmettere loro la consapevolezza che la formazione professionale è un percorso per falliti e di conseguenza si continua ad alimentare la distorta mentalità che approdare ad un lavoro manuale è una strada riservata ai perdenti.
    Occorre davvero ribadire che i percorsi tradizionali costringono gli studenti a seguire 12-13 discipline, che sarebbero senz’altro insopportabili e didatticamente insostenibili anche per gli stessi percorsi liceali. A questo proposito, permettetemi di non gioire affatto per l’ora in più di Geografia che è stata recentemente introdotta dal Decreto scuola. I Tecnici e soprattutto i Professionali hanno bisogno di ben altre modifiche dei loro piani di studio. Sono anzi convinto che la prospettiva più giusta  sia quella di andare verso la fusione a livello nazionale dell’ Istruzione professionale statale e della formazione professionale regionale: una fusione basata in maniera accentuata sull’alternanza scuola-lavoro. E di questo obiettivo a mio parere dovrebbero essere proprio le regioni a farsene carico anche perché la Costituzione, come sappiamo, assegna questa materia  alla competenza regionale. E in una auspicabile rivoluzione di questo ambito, sarebbe davvero importante non rinunciare all’aspetto forse più originale del nostro Complementare; e cioè quello di recuperare i valori della cultura astratta soprattutto nell’ultimo anno, anche perché allora i ragazzi saranno in grado di legare questi saperi al saper fare e sapranno riconoscerne così l’importanza anche in riferimento al loro futuro.
Siamo tutti convinti che  dietro a  ogni lavoro, qualunque esso sia, vi è sempre un progetto di vita: progetto di vita che, invece, è difficile individuare in quelle migliaia e migliaia di ragazzi che sono letteralmente espulsi, in particolare dagli istituti professionali, in mezzo alle strade, nei giardini di qualche periferia e frequentemente verso l’incontro con forme di trasgressione destinate, per dirla con Umberto Saba, ad aprire loro “solchi di dolore”: scuole che pur adottando tutte le strategie didattiche possibili non potranno tuttavia coinvolgere ragazzi e ragazze che nelle scuole, appunto, non trovano la misura giusta e idonea alle loro attese, ai loro veri talenti e perché no, alle loro stesse difficoltà che sappiamo benissimo da dove, nella maggioranza dei casi, esse provengono. E spiace constatare che il modello integrato, da quel che mi risulta oltre alla mia personale esperienza, anche a  livello nazionale non riesce a soddisfare questa fondamentale  esigenza e spiace anche constatare che ha dei costi veramente molto alti, non solo sul piano dell’evasione scolastica. Ha infatti  dei costi pesantissimi anche nello sviluppo dell’economia che potrebbe trovare proprio in un’adeguata formazione professionale l’investimento migliore  per rilanciare mestieri e professioni che fanno parte della nostra tradizione e del nostro potenziale economico e culturale: non sto naturalmente pensando solo alle professioni legate all’enogastronomia e all’ospitalità, ma anche a quelle artistiche e artigianali. Valga fra tutti l’esempio della liquidazione degli istituti d’arte che inseguendo il presunto maggior prestigio dell’istruzione liceale, sono stati, appunto, letteralmente eliminati. E anche su questo sarebbe necessario, soprattutto in Toscana, per i motivi che tutti  noi conosciamo, adoperarsi per non disperdere definitivamente saperi, competenze e maestri che rappresentano un patrimonio irrinunciabile. A tale proposito so che proprio qui a Firenze si sta pensando  di chiedere la possibilità di inserire all’interno dei licei artistici derivati dagli istituti d’arte, provvisti quindi dei laboratori e delle competenze necessarie, un percorso triennale professionalizzante nell’ambito dell’artigianato artistico. Ci stanno lavorando la dirigente dell’Istituto di Porta Romana e due colleghi del Gruppo di Firenze.
Come mi diceva, quand’ero ragazzo, un vecchio maestro artigiano (e che maestro!) un mestiere non si impara a 18 anni perché a quell’età è tardi per poter sperare di diventare, almeno in molti campi, un bravo professionista. Non a caso, tanto per fare degli esempi, la danza, la musica lo sport si iniziano da piccoli e solo iniziando da ragazzi si ha la possibilità di poter diventare in questi settori dei professionisti. Allo stesso modo non ci preoccupiamo se i ragazzi a 14 anni scelgono il liceo: decisione che spesso rappresenta anch’essa una scelta di vita definitiva, in quanto iscrivendosi ai licei si rischia di ipotecarsi il futuro con inutili  anni di università che costringono sempre più spesso e sempre in numero maggiore i nostri giovani-adulti a dover  poi subire lavori di scarso appeal e  che non richiedono una  specifica  preparazione.
 Non dobbiamo perciò temere di avviare  un ragazzo verso la formazione professionale fin dai suoi 14 anni; il diploma al quarto anno del complementare e la possibilità del quinto anno “integrativo” che apre agli studenti della formazione professionale l’ opportunità del diploma  di Stato quinquennale, rappresentano ottime occasioni per permettere a chi lo voglia, di continuare gli studi. D’altra parte ci incoraggiano verso una scelta del genere le esperienze del Trentino, ma anche numerosi esempi europei tra i quali il grosso successo di quello tedesco che assicura ai giovani un lavoro qualificato e, come accennavo sopra, un consequenziale progetto di vita.
 Insomma, non dobbiamo aver paura di educare un ragazzo fin dai suoi 14 anni al lavoro; dobbiamo aver paura, anzi il terrore, di non educarlo affatto.
Valerio Vagnoli
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