Nei giorni scorsi,
alla festa bolognese del Pd, la ministra Giannini e Francesca Puglisi,
responsabile scuola del Pd, sono state contestate da una cinquantina di
docenti, genitori e studenti, che, nonostante la ricerca di dialogo
testimoniata dalla Puglisi, hanno alla fine costretto le due a rinunciare
all’incontro. Un caso palmare di intolleranza e di violazione del fondamentale
diritto di espressione? Macché, una parte
del Pd, per non parlare di Sel, se l’è presa con la ministra per aver definito
“squadristi” i contestatori. Ad esempio, Guerini e Orfini, con uno spericolato
esercizio del più puro cerchiobottismo, hanno dichiarato: “È sbagliato che si
impedisca di parlare a chi presenta la riforma, così come è sbagliato bollare
di squadrismo chi manifesta il proprio dissenso”. Nel giro di un breve periodo,
quindi, i contestatori prima “impediscono di parlare”, ma subito dopo non fanno
che manifestare il proprio dissenso. Fratoianni, esponente di Sel, ha rubricato
l’episodio come “dialettica democratica”. Un gruppo di docenti ha diffuso su
facebook un documento da firmare denunciando la grave offesa ricevuta dalla
Giannini. “Noi siamo i partigiani della Scuola e della Democrazia, non gli
squadristi. La Democrazia è un bene prezioso, e va difeso con le unghie, con i
denti, con le pentole e con le urla”. Sono solo alcuni esempi fra i tanti, ma
bastano a illustrare due realtà. La prima è la diffusa mancanza di consistenza
e di rigore dell’idea di democrazia. Dovrebbe essere evidente che il “diritto
di manifestare liberamente il proprio pensiero”, garantito dall’articolo 21
della Costituzione, non tutela chi la pensa come noi (questo è accettato anche
nelle peggiori dittature), ma chi ha idee opposte alle nostre, proprio quelle
che ci fanno saltare la mosca al naso e torcere le budella. Molti presunti
difensori della Costituzione, come gli estensori del documento citato, e
moltissimi che predicano con sussiego “l’ascolto dell’altro e del diverso”,
dimostrano nei fatti una soglia bassissima di tolleranza, soprattutto se
l’altro ha convinzioni politiche diverse. La seconda realtà sottolineata
da questo episodio e dalle reazioni suscitate è l’assenza di un’etica
professionale condivisa e ben radicata fra gli insegnanti italiani. La
correttezza dei comportamenti è affidata al buon senso e all’educazione dei
singoli, ma non è mai stata sorretta da un’adeguata riflessione in proposito e
tanto meno da principi codificati rispetto ai doveri verso gli studenti, i
colleghi, i genitori e anche verso la dignità e il prestigio della professione.
Anche per questo i contestatori di Bologna non sono stati neppure
sfiorati dalla preoccupazione di dare un esempio di comportamento antidemocratico
ai loro studenti, contraddicendo quello che – almeno si spera – dicono in
classe. Doppiamente sbagliato, dunque, il loro comportamento: come cittadini e
come insegnanti.
giovedì 30 aprile 2015
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