domenica 24 giugno 2012

E SE ANCHE CHI BOCCIA FOSSE DALLA PARTE DEGLI ULTIMI?

"La scuola coinvolge quasi 10 milioni di bambini e ragazzi, le relative famiglie e un milione di lavoratori. Ed è ancora la porta attraverso cui tutti crescono, diversi ed eguali, nell’incontro con l’altro da sé. E’ per questo che la scuola è il retroterra forse più importante per la tenuta del Paese. E non può cedere alla più semplice e ingiusta delle risposte che è quella di rifarsi sui più deboli e scaricare su di loro le nostre responsabilità". Così scrive stamattina sulla "Stampa" il sottosegretario Rossi Doria riferendosi evidentemente anche ai bambini bocciati a Pontremoli. La litania buonista diventa gratuita cattiveria nella sua esplicita accusa alle maestre che, bocciando i bambini, si sarebbero scaricate delle loro responsabilità. Quali siano queste responsabilità Rossi Doria non ce lo dice, ma da bravo maestro ci guida verso la spiegazione  buttando lì la citazione donmilaniana dell’I care che,  evidentemente,  secondo lui non è stata fatta propria dalle maestre di Pontremoli. Quindi, bocciando, queste avrebbero dimostrato tutto il loro disprezzo nei confronti dei loro piccoli allievi, anche perché, se pur si può bocciare (lo stesso Rossi Doria riconosce di averlo fatto per ben due volte in 20 anni) non è accettabile che lo si faccia con percentuali così alte…
Il processo alle intenzioni è diventato oramai prassi corrente. Decontestualizzando qualsiasi episodio dalla realtà effettuale in cui è avvenuto, si torna sempre alle proprie granitiche convinzioni, quelle del proprio catechismo culturale e del proprio pedagogismo astorico e astratto. Il problema, purtroppo, è ampiamente diffuso e ha radici talmente radicate in una certa mentalità falsamente progressista, che difficilmente si potrà affrontare qualsiasi serio problema di questo paese. Bisogna invece partire,  innanzitutto, dal rispetto delle persone (tutte) e dall’accertata realtà dei fatti e delle cose a cui ci si riferisce. Rossi Doria, invece, non ha neanche provato a prendere in esame l’eventuale buonafede, le sofferenze, i dubbi, le riflessioni che hanno accompagnato le maestre in  questa loro difficile e tormentata scelta, finalizzata, come dicono ancora oggi tante brave “tradizionali” maestre, al bene dei ragazzi.
Infine mi piacerebbe che i buoni ministeriali, invece di infangare la dignità di quattro o cinque persone di scuola, che alla fine hanno fatto quanto compete loro per legge, ci dicessero cosa intendono fare per risolvere il problema di quei docenti e dirigenti  che non fanno almeno decentemente il loro lavoro, spesso nella più totale indifferenza delle autorità scolastiche amanti del quieto vivere. Quando poi tali autorità onorano il proprio ruolo, vengono ostacolate da norme ipergarantiste e dalla tortuosità delle procedure. Così si penalizzano di più proprio gli studenti più svantaggiati, che non avranno mai la possibilità di colmare le conoscenze loro negate dalla scuola, a differenza degli studenti benestanti che lo potranno fare anche all’interno della loro stessa famiglia.  
Come dimostra il caso di Pontremoli, spesso a pagare – magari vedendosi infliggere la gogna mediatica per una decisione sofferta - sono proprio coloro che non rinunciano all’avere a cuore il proprio lavoro, la propria missione e l’interesse per il futuro dei loro studenti. Nel frattempo i furbi neghittosi continueranno a farla franca col placet dei buoni ministeriali e dei sindacati loro amici. C’è quasi da scommettere che  questo episodio farà ulteriormente riflettere le docenti che in futuro si troveranno a dover scegliere fra il proprio dovere (a rischio di finire stritolate sotto la macchina ministeriale) e il più italico quieto vivere. (VV)

PS: Un’altra volta mi occuperò di quei docenti bravi e motivati che, a differenza dei loro colleghi inetti e neghittosi ma generosi nei voti, incontrano l’ostilità dei genitori, degli studenti, dei loro colleghi ed infine dei loro dirigenti perché ritenuti troppo severi.

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