Il proverbio latino “Repetita
iuvant”, che sembra formulato per i distratti o i duri di comprendonio, esprime
una verità psicologica fondamentale: il passaggio dalla nozione di un problema
a una reale convinzione riguardo alla sua importanza non è per nulla scontato.
Può derivare dal coinvolgimento diretto nell’esperienza oppure da una serie di
approfondimenti e di riflessioni che, specialmente se provenienti da persone
autorevoli, possono provocare quella “massa critica” di elementi conoscitivi ed
emotivi (come una certa preoccupazione) che ne fanno un centro di
interesse e una chiave di lettura della realtà. Per esempio, chi non concorda a
parole sull’importanza dei rispetto delle regole? Eppure è ancora raro che un’affermazione
del genere comporti poi un’accettabile coerenza nelle valutazioni e nei
comportamenti; anzi è frequente che venga subito fatta seguire da un “ma” che
ne riduce drasticamente o addirittura ne ribalta il significato.
È questo il motivo per cui i problemi dell’educazione
familiare e scolastica e il loro legame con la situazione dell’etica pubblica sono
così spesso richiamati su questo blog, sia partendo da notizie di cronaca che attraverso
citazioni da saggi che in qualche modo trattino questo tema e quello strettamente
connesso, ma molto meno popolare, delle sanzioni. È oggi la volta di Piccoli bulli crescono della psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio
Ferraris (2007).
Contrariamente
a chi vede nelle sanzioni un odioso esercizio del potere, c’è chi le considera
invece un mezzo per rendere bambini e ragazzi consapevoli dei loro atti e
promuovere la riflessione e la libertà di scelta. La sanzione educativa non è
una contro-violenza, non ha carattere vendicativo, non c’è in essa né
umiliazione né rappresaglia, ma ha il valore di un segnale, di una battuta d’arresto
volta a spezzare una tendenza. È il mezzo, non certo il fine. Chi difende la
sanzione educativa sostiene che un ragazzo che proviene da una famiglia o da un
ambiente in cui riceve messaggi confusi su ciò che è bene e ciò che e male, o
anche nessun messaggio, ha un’occasione per imparare e per capire che cosa la
comunità si aspetta da lui come da tutti gli altri (Sullivan, 2000). Chi la
critica sostiene invece che così facendo si riproduce una condizione tipica del
bullismo: da un lato c’è una persona che ha potere, dall’altro una persona che
ne è priva. È interessante, a questo proposito, l’apporto della psicoanalisi,
secondo cui in certe circostanze il colpevole non solo si attende una sanzione,
ma la ricerca. Secondo Sigmund Freud questo bisogno di espiazione risulta da
uno stato di tensione, di contrasto e a volte di scissione tra Io e Super-Io
(ossia l’istanza morale incorporata nella coscienza) [...] Il bisogno di fare
qualcosa per riparare è un sentimento piuttosto diffuso a tutte le età e poter
pagare il debito consente di alleviare il senso di colpa. [...] La sanzione
educativa attribuisce a ognuno la responsabilità dei propri atti e fornendo un
risarcimento alla vittima ristabilisce l’equilibrio che è stato alterato.