di Valerio Vagnoli
(Segue dal blog principale) Finalmente si rivedono i ragazzi “in frotta” tornare a divertirsi a loro agio in mezzo alle strade e alle piazze, che per il resto dell’anno appartengono ad altri e, soprattutto, alle macchine. Mi è capitato, di ritorno a piedi da una cena presso amici che abitano dall’altra parte della città, d’incontrare bande di ragazze e ragazzi dalla voce da campana fessa tipica dei preadolescenti, anche in un’ora abbastanza tarda, intenti a tirarsi addosso la neve e a divertirsi con quel poco di cui è talvolta fatto il vero divertimento dei ragazzi. Evidentemente una città senza macchine è un’altra città, più sicura e affidabile e certamente in grado di tranquillizzare i genitori nel concedere ai loro figli libertà solitamente impensabili.I marciapiedi tornano ad essere decenti e a portata di bambini: gli escrementi dei cani riappariranno non appena il bianco della neve diventerà poltiglia, quando anche i marciapiedi ritorneranno ad essere quei percorsi ad ostacoli che conosciamo (come sappiamo, in molte nostre città un cane gode di maggior libertà rispetto ad un qualsiasi bambino). Anche le piste ciclabili sono vuote e libere dai ciclisti, senza il timore così di vedersi sfrecciare accanto pistard idioti che rendono a molti, e soprattutto ai bambini, anche il camminare sui marciapiedi una nevrotica e titubante avventura! Già, le piste ciclabili, proprio quelle che nel pensiero di certi amministratori avrebbero dovuto rappresentare il modello di un’altra città, più umana e vivibile, sono invece diventate il simbolo stesso della sconfitta di un simile modello di vita. Anziché essere costruite togliendo spazio alle auto, le si sono relegate sui marciapiedi a togliere spazio ai pedoni, mentre le auto, nelle loro corsie ancora privilegiate, prepotentemente sfrecciano con il loro senso d’impunità accanto a quei temerari o sprovveduti ciclisti che si avventurano in quella sorta di girone della morte che sono le strade cittadine.Non diciamo ovviamente niente di nuovo nel sottolineare come queste città siano nemiche dei bambini e dei ragazzi, vere e proprie tigri e non di cartapesta, purtroppo. Le stesse piccole piazzette di quartiere, soprattutto se ristrutturate di recente da qualche architetto in cerca di originalità ma non dell’uomo (come sarebbe invece giusto nella città culla dell’Umanesimo e del Rinascimento) non sono più per i bambini né per essere vissute, in generale, dalle persone. Talvolta bande di ragazzi le occupano per organizzarvi partitelle di calcetto che richiederebbero ben altri spazi che, ovviamente, non esistono. Forse è venuto il momento che i politici e gli amministratori avvertano l’urgenza di quanto sia fondamentale che le città tornino ad essere a misura dei bambini e dei ragazzi. Le piazze, le strade, i viali stessi, ove da ragazzi giocavamo a calcio, oramai non appartengono più a nessuno se non alle macchine: la vita sociale della città non passa più, per i giovani, da questi luoghi né dalle parrocchie o dai circoli ricreativi che non esistono più e se esistono sono in funzione del tempo libero dei pensionati. Così, di fronte a questa sorta di espulsione dei ragazzi dalla vita quotidiana delle città, i politici hanno pensato bene di delegare alle scuole il compito di sostituire il vuoto lasciato dalla scomparsa dei vecchi e tradizionali centri di aggregazione, compresi i cortili dei palazzi. Le scuole, così, hanno finito per ricoprire altri ruoli rispetto al loro compito fondamentale e i politici non hanno pensato più ai giovani; casomai, come certi genitori, non hanno lesinato critiche alla scuola ogniqualvolta il disagio giovanile esplodeva ritenendo che del disagio se ne dovesse occupare, appunto, solo la scuola. I giovani hanno necessità di spazi aperti, veramente liberi, sicuri e al di fuori del controllo diretto di qualsiasi autorità, purché esista una società che li senta come esseri preziosi e di cui aver cura. La loro dedizione ai videogiochi, a facebook e al computer in genere, non è solo legata alla forza di attrazione che queste nuove tecnologie hanno nei loro confronti. Viene il sospetto che la loro vita davanti al computer sia obbligata, anche perché non hanno altre possibilità di trovarsi con le amiche e gli amici in altri luoghi e in altri spazi che non ci sono e che nessuno ha pensato loro di dare. Non può essere solo la neve, ogni tanto, a farli incontrare e divertire in mezzo alla strada, in quell’età difficile e cruciale che va dalla preadolescenza all’adolescenza vera e propria. Ci deve pur essere un’altra soluzione alla loro esigenza di aggregazione che non sia internet, l’intervallo della scuola e qualche ora di neve fresca!
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