Dai commenti al post del 27 agosto:
“Finalmente, grazie a Marcello Dei, sappiamo di chi è la colpa se nelle scuole italiane si copia: di Ronald Reagan e Margaret Thatcher. …” (Papik.f)
“Intendiamoci: ho comprato, letto e apprezzato il libro di Dei e sono d'accordo anche con gran parte delle sue affermazioni nell'intervista. Non condivido però, in alcun modo, l'idea che, prima che arrivassero gli anni ottanta e l'ottimismo reaganiano a rompere le uova nel paniere, il mondo filasse felice verso la rossa primavera dove sorge il sol dell'avvenire. Penso che il '68, in particolare nella gattopardesca versione italiana, abbia molte colpe, ma non questa.” (Papik.f)
L’idea che nel mio libro io addossi la colpa delle copiature nella scuola italiana a Ronald Reagan e a Margareth Thatcher è alquanto inesatta, anche nella versione dell’ottimismo reaganiano.
Messe da parte le battute ridicolizzanti, cerchiamo di far chiarezza. In Italia prima degli anni ottanta, la scuola era classista quanto e forse più di oggi. E da noi come negli altri paesi dell’Occidente, la società, era solidamente ancorata all’economia di mercato. Il paradigma etico del capitalismo di allora era centrato sul lavoro, sull’impegno, sulla disciplina e sul senso civico, valori associabili a quelli della democrazia politica. La rossa primavera e il sol dell’avvenire il Pci li aveva già messi nella naftalina da molto tempo, ormai sopravvivevano nei sogni di pochi superstiti rivoluzionari.
Già negli anni settanta iniziano grossi cambiamenti nell’assetto economico e politico dell’Occidente. La globalizzazione e la privatizzazione dell’economia trovano una sponda nelle politiche neoliberiste promosse da Reagan, da Thatcher e seguite (con judicio) da Tony Blair e dai governi dei paesi del mondo. Questi mutamenti s’intrecciano con l’affermarsi di un nuovo paradigma etico centrato sul mercato, sull’individuo, sul privato. L’etica dell’impegno cede il passo all’ideologia dell’appagamento immediato dei bisogni, la comunità all’individuo, il cittadino al cliente. Tale tendenza non risparmia la famiglia, la scuola e i modelli educativi. Forte dell’ingenuità regressiva infantile, il consumismo trova tra i giovani i suoi più convinti sostenitori. I genitori-clienti esigono dagli insegnanti e dai dirigenti scolastici voti positivi a favore dei figli. Lo spessore della società civile si assottiglia.
Questo schema, qui ridotto all’osso, è ormai common source. In versioni variate ottiene un generale consenso. Non sono molti a pensare che i mutamenti culturali e politici possano svilupparsi al di fuori di un’intensa interazione con l’economia.
Marcello DeiRingrazio Marcello Dei per l'attenzione e i chiarimenti. Innanzitutto vorrei chiarire che nel mio primo post sul tema non intendevo riferirmi al suo libro, bensì a un frase dell'intervista a "La tecnica della scuola": capisco che in un'intervista la necessità di sintesi possa condurre a formulazioni che, se espresse nelle forma di argomentazioni articolate, risultano invece meno sgradevoli anche per chi non le condivida. Inoltre io non intendevo negare che negli anni ottanta si siano verificati una serie di mutamenti politico-economici strettamente correlati con l'economia. Non mi permetterei certamente di entrare in discussione con un professore di Sociologia su un punto come questo, dato che il mio mestiere è tutt'altro; e comunque sembra anche a me che la realtà di tali cambiamenti sia comunque fuori discussione (o "common source", se si preferisce). Per inciso, sul complesso di tali mutamenti io, dal mio punto di vista di comune uomo della strada, ho un'opinione diversa e complessivamente assai meno negativa di quella di Marcello Dei; ma questo, che rientra nella normale diversità di giudizio, non è certamente il punto.
È, invece, l'atteggiamento nazionalmente diffuso verso la copiatura che secondo me non si inserisce affatto in questo quadro, viene da più lontano e ha radici ben più profonde, come mostra, tra l'altro, anche il fatto che in quegli stessi Paesi nei quali i sopra citati fenomeni sono nati non si è verificato nulla di simile.
Io non sono nelle condizioni di poter polemizzare con un sociologo sul fatto che si sia affermato un nuovo "paradigma etico centrato sul mercato, sull’individuo, sul privato" e comunque, lo ripeto, penso che ciò sia in buona misura vero. Tuttavia, dal mio punto di vista di uomo della strada, riscontro che certi fenomeni (vogliamo dire l'abusivismo edilizio o l'evasione fiscale, per cambiare?), legati certamente a forme di individualismo e mancato rispetto della comunità, da noi si verificavano abbondantemente assai prima che tale paradigma si affermasse; mentre viceversa, nei Paesi dai quali tale paradigma proviene, sembra che non si verifichino se non in misura assai minore e comunque che non siano significativamente aumentati di recente.
Un'ultima osservazione sulla trasformazione di alunni e genitori in clienti. Questa sì che è una novità degli ultimi anni e su questo mi sembra condivisibile la spiegazione offerta. Mi resta tuttavia un dubbio: come mai questa trasformazione, a tutti i diversi livelli dai Ministri ai dirigenti ai docenti, è stata ed è propugnata a spada tratta da molti tra quelli che si oppongono fermamente al paradigma etico da cui essa discende? Per dirla più chiaramente: perché l'idea dell'"alunno-utente" trova i suoi più appassionati sostenitori proprio tra molti (anche se non tutti e forse neppure la maggioranza) dei professori dell'area "progressista" e tra tutti (e, qui, proprio tutti o quasi) i politici e dirigenti della stessa area?
E' pur vero che si tratta in larga misura delle stesse persone che propugnavano a scatola chiusa teorie pedagogiche e docimologiche statunitensi negli stessi anni nei quali disprezzavano gli "amerikani"...
Papik.f.