“Se un operaio sbaglia il 25 per cento dei pezzi, la colpa non è dei pezzi non riusciti, ma dell’operaio che quanto meno viene sanzionato”. Questa è la conclusione di Michele Gesualdi, che presiede la Fondazione intitolata al priore di Barbiana, a proposito delle maestre di Pontremoli, responsabili della bocciatura di cinque bambini. Ci rimane difficile paragonare il lavoro delle maestre a quello di un operaio che sforna pezzi ben fatti o malriusciti. E stupisce che proprio un allievo di Don Milani non capisca quanto è offensivo per i bambini questo paragone e quanto estraneo alla complessità di una relazione educativa. Ma quello che stona di più, in questa dichiarazione perentoria, è l’assoluta mancanza di qualsiasi sforzo finalizzato a capire le motivazioni di una scelta che può essere vissuta e interpretata come dolorosa, ma che può anche diventare un’occasione per non trascinarsi dietro importanti carenze di base.
Ma l’indignazione degli eredi di Don Milani (almeno del gruppo che ha la sua sede nella canonica di Barbiana), va oltre. Essi, a conclusione di un convegno che celebrava i 45 anni dalla scomparsa del priore, hanno deciso di inviare una lettera alle maestre firmata Gianni, a significare che i loro allievi bocciati saranno destinati per colpa loro a diventare dei “vinti”, come quel Gianni che ispirò la famosa Lettera a una professoressa.
E come allora torna utile individuare un nemico per dare forza alle proprie asserzioni. Stavolta sono le maestre di Pontremoli, decenni fa lo fu una professoressa delle magistrali. Sul Monte Giovi il tempo sembra essersi fermato. All’analisi pacata e civile si sostituisce la crociata, perché il nemico dà un significato alla nostra resistenza nella canonica-fortezza di Barbiana. Ma a volte ci si difende anche da se stessi, cioè da una possibile rielaborazione del mito fondativo e quindi dalla possibilità di diventare qualcos’altro e qualcosa di nuovo rispetto all’esperienza di tanti decenni fa.
Infine un invito ai “ragazzi” di Don Milani. Per testimonianze ricevute direttamente da alcuni conoscenti e amici, per quello che si legge o si percepisce dalla lettura di molte pagine sull’esperienza della scuola di Barbiana, risulta evidente che moltissimi ragazzi e bambini abbandonarono la scuola del priore. Ci piacerebbe che qualcuno si occupasse di questo aspetto, non marginale per una scuola che si celebrava e si celebra come modello di scuola che non perde nessuno. Da parte nostra una riflessione molto banale e semplice ci sentiamo di farla. La scuola, il lavoro degli insegnanti, di quelli veri naturalmente, e in particolare la fatica delle maestre, non porta sempre ad ottenere quello che si auspica. Quando ciò non avviene è opportuno cercare di capire perché sia accaduto. Le lettere di accusa, le campagne di denigrazione, i j’accuse lasciamoli al passato. Oggi ci dovremmo muovere con attenzione costante alla verità dei fatti e con rispetto nei confronti delle persone coinvolte. Possiamo far valere anche nella scuola la presunzione di innocenza fino a prova contraria? (VV)
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