Sul “Corriere della sera” di lunedì 16
luglio si potevano leggere in merito ben due articoli su un problema destinato
ad aggravarsi se qualcuno non si decide a prendere decisioni rapide e lontane
dallo spirito che ha dettato a molte regioni la politica relativa alla formazione
professionale. Come ho scritto più volte, una certa pedagogia di stampo social
populista, che ha trovato salde sponde nella gran parte dei politici che a
livello locale e nazionale si sono occupati e si occupano di scuola, ha pensato
che fosse giusto estendere a tutti gli indirizzi di studio un’impronta liceale.
Secondo questa impostazione, solo con quel tipo di formazione saremo in grado
di fornire ai futuri cittadini senso critico, autonomia nelle scelte e
opportunità per rendere il loro futuro migliore rispetto a quello dei loro
padri. Chi ha sostenuto questa macroscopica sciocchezza (che corrisponde anche alle paure storiche di
certa nostra piccola borghesia, timorosa di dover tornare ad essere “gente
meccanica”) spesso si è richiamato al pensiero di don Milani, ignorando,
tuttavia, che proprio la scuola di Barbiana, salvo l’ultimissimo periodo in cui
si pensò che qualche allievo sarebbe potuto diventare maestro elementare, era
una scuola professionale e i suoi allievi venivano avvicinati alle professioni
fin da piccoli, anche perché i mestieri, l’arte che si cela dentro e dietro
essi, si imparano ben prima dei vent’anni e magari ben prima di aver fallito
altri percorsi.
Ma il danno è stato fatto ed è
purtroppo destinato a durare a lungo, perché l’aver cancellato quasi del tutto
la nostra straordinaria tradizione dei mestieri ha contribuito a consolidare
nell’opinione pubblica il concetto che i lavori artigianali e manuali sono
destinati agli sfigati, ai buoni a nulla e ai falliti. Quando si parla di
successo formativo s’intende sempre ed inequivocabilmente un successo da
conquistare dietro i banchi di scuola e non, per esempio, dietro i banchi di un
laboratorio artigianale.
La Regione toscana, al pari di altre
regioni italiane, ha deciso di far adempiere l’obbligo scolastico
esclusivamente all’interno del canale dell’istruzione, riservando solo ai
pluriripetenti che abbiano compiuto i sedici anni la possibilità frequentare
corsi professionalizzanti per allievi in situazione di drop-out, peraltro a numero
chiuso vista la scarsezza dei fondi. Ovviamente una scelta del genere
squalifica ancora di più le professioni storiche della nostra tradizione e
della nostra economia. Di per sé, a farci quasi vergognare dei lavori manuali
aveva già ampiamente contribuito il contesto storico-sociale che ci accompagna
da qualche decennio e che rapidamente ha portato gran parte delle persone a
rincorrere modelli sociali tipici dei parvenu
piuttosto che realmente ispirati alle proprie vocazioni.
Durante il recentissimo esame di
stato, avevo incaricato la segreteria del mio Istituto di inviare una lettera
ai ragazzi pluriripetenti e respinti anche agli scrutini di giugno, per
avvisarli che potevano iscriversi, appunto, ad uno dei corsi professionali
della Regione che partiranno dal prossimo settembre. In questo modo i ragazzi
in questione potrebbero acquisire una qualifica professionale e, dopo due anni,
entrare in un percorso lavorativo o, in alternativa, rientrare nel canale
dell’istruzione. Al mio rientro dall’esame, le impiegate mi hanno detto che
alcuni genitori avevano telefonato indignati, ritenendosi offesi per la lettera
che, secondo loro, certificava come la scuola ritenesse scarsamente
intelligenti i loro figli e quindi inadatti a un percorso scolastico finalizzato
al diploma quinquennale di Istituto professionale. Un percorso che, sia detto
tra noi, in parte viene scelto perché ritenuto più semplice rispetto ai tecnici
e ai licei, al fine di conseguire un diploma di scuola superiore. Non a caso,
malgrado ogni anno dagli istituti alberghieri esca un numero molto alto di
diplomati, sappiamo che moltissimi di loro, dopo il diploma, fanno scelte del
tutto diverse rispetto all’indirizzo seguito. Infatti i settori della
ristorazione e dell’ospitalità alberghiera sono tra quelli che hanno il maggior
numero di occupati stranieri e malgrado ciò i posti disponibili a livello
nazionale sono ancora decine di migliaia.
Pur essendo in linea di massima
d’accordo con chi sostiene che le disuguaglianze sociali sono ancora oggi in gran
parte responsabili delle disuguaglianze scolastiche, ci aspetteremmo nel
frattempo che dei politici veri, cioè attenti alla realtà effettuale della
storia e della società, prendessero atto della drammaticità di una situazione
che vede nelle prime e nelle seconde classi dei professionali tassi altissimi
di dispersione scolastiche. Chi ha a cuore il futuro dei ragazzi deve ad ogni
costo essere consapevole che nulla è più diseducativo dell’accanimento nei
confronti di giovani che vorrebbero altri risultati e altra formazione che non
quella che li porta ineluttabilmente alla bocciatura e alla frustrazione; una
frustrazione a cui reagiscono come possono, magari trasformando le aule in sale
giochi, angoli di giardino pubblico o in siparietti degni della peggiore
televisione (che purtroppo essi conoscono assai bene), a danno non solo di se
stessi, ma anche dei compagni e dei docenti.
L’ ultimo numero di Scuola Democratica
si apre con una interessante intervista a Francois Dubet, all’interno della
quale compaiono dei riferimenti anche alla formazione professionale. Dubet, tra
l’altro, mette in risalto, come fa anche il Corriere, la bontà del sistema
professionale tedesco rispetto a quello francese. Il primo permette a chi perde
“la partita scolastica” di “vincere la partita professionale”, mentre in
Francia “chi perde la partita scolastica, ha perso tutte le partite…”.
Esattamente come avviene nella maggior parte delle regioni italiane.
Ecco, a noi piace pensare che i
ragazzi abbiano diritto di non perdere tutte le partite e che possano sperare
di cambiare in meglio il loro futuro anche attraverso una seria formazione
professionale, talmente seria da poter garantire vere e proprie eccellenze
anche attraverso corsi di alta formazione professionale post-diploma.
Non è con l’attuale sistema ingessato
e assistenziale (ah, come piace in Italia sentirsi, piuttosto che esserlo, dei
buoni) che possiamo sperare di veder crescere il numero dei ragazzi contenti
delle proprie scelte e fiduciosi nel loro futuro. Mi sembra davvero opportuno
condividere con Dubet la consapevolezza che più “si diversificano i giochi (e
più) la gente perderà di meno e non saranno sempre gli stessi a perdere né gli
stessi a vincere”. (Valerio Vagnoli)