Gli insegnanti e i dirigenti che considerano la scuola anche e soprattutto come un luogo di educazione alla responsabilità hanno molti agguerriti avversari: teorie pedagogiche e educative oggi un po’ consunte, ma ancora con ferventi seguaci; famiglie che difendono i loro figli, anche quando sono indifendibili; un’infinita serie di cattivi esempi che sempre più consolidano nei giovani l’idea di avere molti diritti ma nessuna responsabilità. Negli ultimi anni fra i “cattivi maestri” si è segnalata, purtroppo, in più di un’occasione, anche la magistratura; sia quella amministrativa, che ha spesso dato seguito ai più improbabili ricorsi di studenti e genitori, sia quella penale, con sentenze a volte pesantemente punitive nei confronti dei docenti colpevoli di “omessa vigilanza”.
Il caso riportato dal "Messaggero Veneto" in due articoli del 18 e del 19 febbraio è in questo senso esemplare. Nel 1998 Selene, studentessa sedicenne dell’Istituto Deganutti di Udine, in gita a Firenze, scavalca il parapetto del balcone della sua stanza d’albergo insieme a un compagno, passando sul lastrico di copertura della parte più bassa dell’albergo, scivola e cade in strada, procurandosi lesioni gravissime e un’invalidità permanente.
Sia il Tribunale di Trieste che la Corte d’appello respingono la richiesta di risarcimento, rilevando tra l’altro che la ragazza aveva scavalcato volontariamente il parapetto del balcone per accedere a una superficie non destinata al passaggio (che quindi non è una terrazza) e che “la sorveglianza del docente non doveva spingersi ad invadere la ‘privacy’ dei ragazzi e la sua diligenza al controllo del non possesso di spinelli o alla verifica dell'astratta sicurezza delle strutture ospitanti...” Considerazioni di buon senso, che la Corte di Appello conferma, ma che la Cassazione contesta, con sentenza dello scorso gennaio, dando ragione ai genitori della ragazza e condannando il Ministero dell’Istruzione, l’albergo e la scuola al pagamento dei danni.
Nella sentenza della Corte mi sembrano evidenti numerose forzature logiche, ad esempio quando si afferma che il tetto piano su cui i due ragazzi si sono spostati scavalcando il parapetto doveva essere considerato a tutti gli effetti, contro ogni evidenza, una terrazza e quindi essere dotato di tutte le sicurezze del caso; oppure quando si scrive che per l’istituto scolastico c’è “un obbligo di diligenza per così dire preventivo, consistente, quanto alla gita scolastica, nella scelta di vettori e di strutture alberghiere che non possano, né al momento della loro scelta, né al momento della loro concreta fruizione, presentare rischi o pericoli per l'incolumità degli alunni”, quando sembrerebbe logico attribuire questa responsabilità ai titolari dell’albergo (o dei pullman) e alle autorità preposte ai controlli. Chi è interessato a leggere il testo della sentenza, oltre a quanto riportato negli articoli, potrà trovare altri esempi di questa logica, che a me appare assai tendenziosa.
È comprensibile sul piano umano che la famiglia abbia con questa causa non solo cercato di “garantire un futuro” alla figlia resa invalida, ma anche di allontanare in ogni modo l’insopportabile consapevolezza che il terribile incidente era stato essenzialmente causato da una grave imprudenza della ragazza. Ma non sembra accettabile che la Corte sollevi da qualsiasi responsabilità dei propri atti una studentessa di 16 anni, dunque “prossima alla maggiore età” e “presumibilmente dotata di senso del pericolo”, come sennatamente aveva affermato il Tribunale di Udine, e estenda in modo pressoché illimitato la responsabilità di vigilanza degli insegnanti. Credo sia arrivato il momento che questi ultimi comincino considerare seriamente l’ipotesi di una generalizzata astensione da viaggi e visite di istruzione, che li espongono (gratis) al rischio di vedere stravolta la propria esistenza, almeno fino a che la normativa in materia non sarà profondamente ridefinita. (AR)
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