di Valerio Vagnoli
Salvemini scrisse che ",,,,gli alunni hanno bisogno di una cultura intellettuale ben equilibrata….attraverso studi che non devono essere ordinati per tutti allo stesso modo, né una stessa forma deve essere imposta a tutte le intelligenze." Forse nessuno, tra gli intellettuali del secolo scorso e del nostro tempo ha avuto il coraggio di schierarsi come fece lui, contro, sono parole sue “..la leggerezza presuntuosa di molti pedagogisti” le cui teorie “messe alle prove coi fatti, dovevano poi sottostare alle più clamorose smentite e sconfitte” preconizzando come, ancora oggi, troppe riforme forse hanno trovato la propria origine piuttosto in astratte teorie pedagogiche anziché su una seria analisi di dati reali (svolta, per esempio, anche con un convinto coinvolgimento degli addetti ai lavori che, ancor prima dei pedagogisti, sono proprio i docenti). Ed ancora, pochi anni prima della sua morte, in un articolo salacemente polemico con il pedagogista e storico della pedagogia Lanfranco Borghi che auspicava una scuola che formasse, nei giovani, ideali finalizzati a costruire una società universale, egli rispondeva chiedendosi quale fosse il compito del docente “Quello di addomesticare l’alunno o quello di educarlo all’autonomia del pensiero e della volontà?...e allora può l’insegnante educarlo a un ideale sociale che è quello dell’insegnante, ma che domani potrebbe non essere quello dell’alunno?” Evidentemente la domanda retorica di Salvemini apriva e apre ancora ai tempi nostri problematiche decisive su quello che è il principio della vera libertà d’insegnamento e su quanto possa essere facile da parte di un docente, magari anche in buona fede, sconfinare in una sorta di vera e propria illegalità, se non altro di carattere etico, facendogli credere di fare altissima opera pedagogica quando educa i suoi allievi “ ai più grandi ideali” di questo mondo, magari trascurando i saperi disciplinari. E decisamente attuale è anche un’altra sua riflessione che compare nello stesso articolo a commento delle ripetute richieste, da parte di alcuni deputati di allora appartenenti a varie formazioni politiche democratiche, sulla necessità di svolgere, nella scuola, le più svariate, e nobili, educazioni: alla democrazia, all’antifascismo, alla libertà e altro ancora. Di fronte a tutta questa serie di richieste l’antifascista Salvemini rivendicava, ancora una volta, la vera autonomia del docente affermando che questi “..non deve essere trattato come un menestrello pronto a cambiar canzone a capriccio della castellana…si esce fuori dal buon senso se si pretende che l’insegnante anticipi una società futura che, del resto, neanche lui saprebbe definire. Si può solo domandargli se cerchi di sviluppare nelle nuove generazioni quel tanto di abiti critici, di cui l’umanità è capace e di cui i nuovi venuti faranno a loro tempo l’uso che potranno, migliore. Le nostre donne portano il bambino a messa e dicono - Quando sarà grande farà a modo suo - Gli insegnanti dovrebbero portare i loro alunni a ragionare e dire - Quando saranno grandi faranno a modo loro -. Parole come queste non possono non ricordarci quanto sia controproducente, e fazioso, credere di educare i ragazzi attraverso vere e proprie palestre educative quali sono i più svariati progetti, tanto di moda in questi anni, nell’illusione, da parte dei politici, dei pedagogisti che li propagandano e dei docenti che li fanno propri, di costruire nei ragazzi attraverso le più svariate “educazioni”un futuro cittadino modello, libero, puro e consapevole come se, per esempio, l’educazione alla legalità e la lotta al sistema mafioso non si potessero costruire attraverso una seria e faticosa analisi dei Promessi sposi manzoniani o di qualsiasi altro speculare contenuto disciplinare senz’altro più consono a restare nella memoria dei giovani rispetto a molte conferenze di esperti della legalità o ai tanti happening con cantanti, attori, scrittori di grido e, diciamo così, “impegnati”