Pubblichiamo la lettera della collega Giulia Biti, che fa seguito alle dichiarazioni sulla scuola di Michelle Hunziker, da noi riportate ieri.
Leggo oggi sul blog le dichiarazioni della Hunziker.
La selezione del personale docente è indubbiamente una conditio sine qua non, e non intendo mettere in discussione questo punto. Mi chiedo però se sia davvero così opportuno porvi l'accento in maniera così enfatica, come se tutti i mali della scuola gravassero effettivamente sulle spalle del solo insegnante: un elemento fondamentale, ma nel contempo soltanto parte di un sistema – il sistema educativo, appunto – estremamente complesso e non sempre così semplice da vivere e da gestire.
Inoltre, cosa intendiamo realmente per selezione?
Ce lo chiediamo (anche piuttosto indignati) sia io che molti miei giovani colleghi, usciti dai celebri corsi abilitanti, noti come SSIS che – si noti bene – sono lunghe specializzazioni rigorosamente post-accademiche.
Volendo fare un esempio pratico sulla base non soltanto della mia esperienza, ma di numerosi coetanei insegnanti o aspiranti tali, riassumo brevemente l'iter formativo a monte della tanto auspicata selezione.
La SSIS è un percorso biennale a frequenza obbligatoria, a cui si accede per concorso pubblico e che prevede una serie piuttosto articolata di insegnamenti tra l'area disciplinare d'interesse, l'area delle scienze umane (psicologia, pedagogia, didattica, etc...) e il tirocinio. Ora, volendo prescindere da fondate, quanto purtroppo sterili polemiche sulla validità di tali insegnamenti (parecchi precetti della cosiddetta area trasversale sono né più né meno che norme di comune buonsenso – su cui però sono stati scritti fiumi d'inchiostro! E il settore disciplinare in certi casi si limita a una rielaborazione artificiosa di contenuti noti a una persona laureata), sta di fatto che ci sono numerosi esami da preparare, sotto forma di elaborati scritti e di verifiche orali, su ciascun fronte, compreso il tirocinio e per entrambi gli anni. Le ore di tirocinio previste sono 290 per l'intero biennio, il che assommato all'obbligo di frequenza (anche fuori sede), comporta comunque una buona dose d'impegno e costituisce di per sé un discreto criterio selettivo. Dunque oltre al concorso d'ingresso, agli esami e alla pratica in itinere, ci sarebbe anche l'esame di stato finale che si basa sui trascorsi SSIS e sulla performance in loco del candidato......
Per "diventare" insegnanti di sostegno occorre passare necessariamente per il biennio SSIS ed essere abilitati, poi si concorre per titoli a un ulteriore anno di specializzazione "ad hoc". E in questo caso la frequenza alle lezioni è quotidiana (in Toscana non si sono risparmiati neanche con il sabato e – non scherzo! – la domenica), con l'aggiunta di altre 100 ore di tirocinio. Durante l'anno si effettuano questionari-esami sulle singole discipline (dalla didattica speciale delle discipline alla pedagogia della marginalità alla neuropsichiatria, etc....) per culminare con la discussione di una tesi finale.
Ammettendo di dedicarsi anche al sostegno, un docente ha già sulle spalle quasi 400 ore di pratica scolastica, delle quali le ultime 100 particolarmente dure e intense, anche perché, oltre alla difficoltà oggettiva del contesto, in qualità di docenti abilitati si ha maggiore libertà d'azione e autonomia. E non mi soffermo a quantificare l'enormità di tempo dedicato a frequentare lezioni, produrre elaborati, tesi e relazioni....
Al di là degli immaginabili disagi e sacrifici che questo processo di selezione possa creare, io riterrei opportuno sottolineare che le persone che si sono cimentate in questo percorso, e che addirittura scelgono di proseguirlo, possano essere definite almeno potenzialmente "insegnanti selezionati". Non fosse altro che per la motivazione, la pertinacia e la voglia di fare che sinceramente ho avuto modo di riscontrare in tante altre esperienze parallele alla mia. Senza nulla togliere al valore - e penso a un recente articolo di Casprini - dell'esperienza sul campo, all'amore per la propria disciplina e il proprio mestiere. Posso assicurare che la maggior parte dei neo-insegnanti, se non avesse amato ciò che aveva precedentemente studiato e la prospettiva di insegnare, avrebbe smesso questa assurda "corsa ad ostacoli" che rappresenta un'evidente selezione (basti lo sfinimento!), specie in tempi così avari di rosee prospettive.
In definitiva il concetto di selezione andrebbe affrontato con maggior consapevolezza, perché è davvero semplice banalizzare; e dopo anni di "preparazione" al "mestiere dell'insegnante", garantisco che non è particolarmente gradevole incorrere sempre nei soliti luoghi comuni. Tra l'altro se per selezione s'intende un controllo sul lavoro degli insegnanti saremmo in molti ad approvare. Direi anzi che allo stato attuale delle cose sarebbe forse meglio parlare di "controllo" o di "selezione derivante da controllo". E su questo punto, anche se da prospettive diverse, si potrebbe forse affermare che la vediamo allo stesso modo.
Mi scuso per essermi dilungata e per essermi permessa di esprimere un'opinione, ma questo argomento sta particolarmente a cuore a me e agli insegnanti che in questi ultimi anni hanno fatto le mie stesse scelte.
Giulia Biti